All’inizio della mia carriera di insegnante, appena laureata e in procinto di affrontare il concorso ordinario (il primo indetto dopo molti anni), dopo aver lavorato come supplente più o meno temporanea in alcuni istituti tecnici della zona, fui nominata dal provveditorato per un incarico annuale in una scuola media di un paese lontanissimo da dove abitavo (e abito).
Emozionatissima e con la mia nomina in borsa mi recai nella scuola a cui ero stata assegnata e ben presto compresi perché la cattedra era restata vacante: si trattava di una scuola di “frontiera”, che serviva un quartiere sovraffollato e molto problematico, a me fu assegnata una seconda media molto numerosa, molti allievi provenivano da famiglie disagiate, alcuni erano intelligentissimi, ma dal punto di vista didattico erano allo stato brado.
Con la mia poca esperienza cominciai a lavorare con loro (e per loro), mettendo un po’ da parte la mia cultura classica fresca di studi e cercando strade per far breccia nella loro curiosità.
Verso la fine dell’anno, contro il parere dei miei colleghi più esperti, decisi di portarli in gita (visita d’istruzione è l’espressione corretta) e andammo a Milano per conoscere l’aspetto settecentesco della città, viaggiammo con il treno delle Nord e visitammo la città a piedi, osservando l’aspetto dei palazzi e l’assetto delle vie (praticamente fu una gita a costo zero, ma quello potevamo permetterci).
Verso le tredici ci sedemmo sulla gradinata del duomo per mangiare i panini che ci eravamo portati da casa e i ragazzi, dopo pochi minuti, si sparpagliarono nella piazza sparendo alla vista e sfuggendo al nostro controllo.
Mentre cercavo di localizzarli (un po’ preoccupata in verità) uno tra i più “svegli” corse verso di me urlando: “Prof, il Sindaco di Milano vuole incontrarla”.
Stupita e un po’ incredula lo seguii, mentre gli altri ragazzi comparivano come per magia dal nulla che li aveva inghiottiti, e vidi l’allora Sindaco, proprio lui in persona, circondato dalla scorta e da uno stuolo di giornalisti, che mi salutò, mi chiese cosa stessimo visitando e ci invitò a conoscere Palazzo Marino dove ci guidò nelle sale, anche in quelle non aperte al pubblico.
Alla fine della visita regalò a me e a tutti i ragazzi dei libri sul palazzo e sulla città, grandi libri illustrati e preziosi che i ragazzi riportarono a scuola e sui quali studiarono fino alla fine dell’anno con entusiasmo.
Scoprii poi che quella incredibile disponibilità forse era da attribuire alle imminenti elezioni per il Parlamento Europeo, ma per i miei ragazzi fu una grande occasione per comprendere che il mondo non si fermava al loro paese e che c’è tanto da conoscere, da capire e da imparare.
L’anno finì, vinsi il concorso e tornai a lavorare a pochi metri da casa, ma l’esperienza di quell’anno di scuola, così difficile, ma così entusiasmante, mi è restata dentro e forse ha contribuito a fare di me l’insegnante che sono.
I miei ragazzi di allora li ho ancora nel cuore.