Il dinamico governo degli incapienti intellettuali sta cercando di vendere un nuovo taglio alla scuola come una riforma in nome di una fantasiosa didattica modernista: cioè il taglio di un anno di liceo che viene buono anche per il progressivo abbandono dell’Università e dunque per un ingresso più precoce nella via crucis del lavoro precario sotto le multiformi dabbenaggini degli Ichini di turno. Del resto se anche Renzi è diventato premier, se persino gli ebetini raccogliticci di Scelta civica governano, può darsi che si possa tagliare tutto il liceo.
Tutto questo viene condito da grandi e ipocriti peana sulla necessità di “investire nella scuola e nella ricerca”, mentre in realtà si consumano grandi risorse per le inutili e probabilmente anticostituzionali ore di religione o per le scuole private in nome di un malinteso diritto allo studio, da cui vengono invece man mano esclusi coloro che non si possono permettere le rette di preti e suorine. Ricordo quando mio padre ricordava l’immortale motto di una nota scuola elementare di Napoli a fine Ottocento tenuta da suore: Gesù Buono, Gesù bello, dammi fede e non cervello”. Lascio agli antropologi l’ardua sentenza su questa visione del mondo.
Non ho riportato a caso un esempio che riguarda la capitale materiale e morale della “questione meridionale”, perché in mezzo a tante considerazioni che vengono normalmente portate avanti, comprese quelle straordinariamente vittimistiche del neo borbonismo, manca quasi sempre la scuola come elemento essenziale dello sviluppo. Eppure i dati che possediamo parlano chiaro sulle ragioni del progressivo declino economico del Meridione in età ancora precedente all’unità. Il tasso di scolarità elementare rappresenta un primo e chiaro segnale come si può vedere dalla tabella qui sotto:
Come si vede, al di là dei numeri assoluti sempre più alti nel nord, ciò che impressiona è il trend in costante crescita nelle aree settentrionali e in catastrofica discesa al sud. Non ci vuole molto per vedere proprio in questo la radice del differenziale economico delle due aree del Paese, instauratosi proprio in un’epoca di rapido progresso tecnologico nel quale era impossibile inserirsi con tassi di scolarità così bassi. E del resto lo sviluppo industriale è stato creato proprio dalle scuole e non viceversa come possono magari credere gli asini di governo. Per fare un solo esempio tra i più chiari fu la scuola tecnica delle Aldini Valeriani a trasformare l’Emilia da terra agricola a patria della motoristica. E oggi sono probabilmente le tuttora eccellenti Hochschule a far sì che Ducati e Lamborghini siano state inglobate nell’industria tedesca.
Insomma per chi vuole vedere, per chi non vuole chiudere gli occhi, la scuola è un elemento vitale per la società e dunque anche per la sua economia: risparmiare su di essa o instaurare un circuito vizioso nel quale gli studenti divengono di fatto clienti – con tutto ciò che questo significa – vuol dire andare incontro a un nuovo decisivo differenziale con il resto del continente. E” vero che la nostra desolata politica si ispira costantemente ai modelli di oltre atlantico, ma lo fa in maniera così grossolana da non sapere che quel sistema si è rivelato ottimo a perpetuare il potere delle classi dirigenti, ma è in realtà si è rivelato assolutamente inadeguato, come lo stesso ultra conservatore Luttwak ( per citare un autore divulgativo, a portata di politico) ha spiegato in parecchi saggi e può reggersi solo grazie a un surplus di denaro e di influenza destinato alla massiccia acquisizione di intelligenze e saperi dal altri Paesi.
Ma vaglielo a dire ai nostri devoti privatizzatori e ichinatori che per risparmiare quattro soldi da consegnare morganaticamente all’Europa, tagliano interi anni scolastici. Ma forse hanno molta fede, la preghierina è stata esaudita.