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Di fatto, si concentra in quest'ora e mezza di film tutta una serie di spunti che andrebbero bene per una serie tv, più che per un lungometraggio più o meno credibile e per quanto ben fatto. L'aver condensato tutte le vicende di questo decadente istituto nell'ultimo giorno di scuola, quello fatidico degli scrutini, rende tutto più vago, più leggero, ma anche meno pregnante. Non c'è una vera costruzione di una storia dietro questi caratteri, ci sono solo suggerimenti registici per una recita di maschere, di personaggi che mettono in scena le loro nevrosi con l'incastro particolare di un gioco combinatorio. A questo si aggiunga che protagonisti di questa scuola non sono gli alunni, che si riducono a sfondo o oggetto del contendere dei docenti, che invece dominano la scena. La sala dei professori, con queste strane creature mitologiche e depresse, irrequiete e insoddisfatte, diventa il luogo di espressione di un sistema scolastico in disfacimento (come crolli e rovine edilizie dell'istituto ben mostrano). Non mi sembra ci sia un esplicito spirito di dileggio dei professori, ai quali anzi si riconosce quella ricchezza e quella varietà che nascono proprio dall'essere impegnati sul campo e nella loro vita, ciascuno con il suo vissuto e con i suoi limiti (taluni anche piuttosto ingombranti). Rimane il fatto che l'ambiente in cui queste persone operano non è un ufficio qualunque, bensì una scuola, e l'ambiente didattico risulta nel suo insieme catastrofico, del tutto inadeguato a rispondere a un compito essenziale e fisiologico come quello dell'istruzione. Rimanendo in una sfera iperurania e astratta, vien voglia quasi di deporre le armi, più che di rimboccarsi le maniche.
Però, a modo loro, in questa sfilza impersonale di cognomi (e solo cognomi per tutti, situazione molto più rara oggi), nell'assenza strategica e sistematica di ogni tipo di reale collaborazione (e non parliamo di intimità), molti professori-monadi - talvolta loro malgrado - si lasciano profondamente coinvolgere nella vita dei loro alunni e aspettano una ricaduta del loro intervento nel loro futuro, ovvero (incredibile dictu) c'è uno sguardo fuori dalla scuola e dai suoi usurati meccanismi. Esemplare in merito il logoro e demotivato prof. Mortillaro (Roberto Nobile) che si domanda perché non riesca a plasmare persone di successo, salvo ribaltare poi il problema chiedendo alla sua goffa e sgomenta collega Lugo (Enrica Maria Modugno) la ragione per cui la classe dirigente non vada a studiare francese con lui. Gli alunni, tutti, rimangono un punto interrogativo, ma alcuni di questi uomini e di queste donne con registri e penne tra le mani provano a entrare in rapporto con i misteri ambulanti tra i banchi, con malesseri indefinibili e alibi di ferro, nel dissesto generale della scuola. In particolare Vivaldi (Silvio Orlando), la Majello (Anna Galiena) e, sia pure da lontano, la Serino (Anita Laurenzi) difendono la necessità di entrare in qualche modo in rapporto con questi ragazzi, con tutte le enormi difficoltà del caso, per conquistarseli e sottrarli alla periferia - per non dire all'avaria - a cui sembrano destinati.
D'altra parte, c'è un altro modello di scuola che sembra prevalere, ovvero che si atteggia a migliore o comunque vincente: quello dell'inflessibile vicepreside Sperone (Fabrizio Bentivoglio), esempio di sovrana antipatia, o di altri colleghi molto meno empatici e più disinteressati guardiani (il Cirrotta di Antonio Petrocelli, la Gana di Anita Zagaria o Mattozzi di Vittorio Ciorcalo), per non parlare dell'impersonale e affabile pochezza del preside (Mario Prosperi), che è solo una funzione e non ha neanche un nome. Nella scuola "pubblica" dove converge tutto questo vissuto, tutto questo privato, nella scuola segnata da una manifesta disaffezione, da problemi di ordine aziendale (sia pure prima dello tsunami chiamato "autonomia"), c'è di tutto e tutto sembra convivere in un caos centrifugo. Ciononostante, come dice la malinconica prof.ssa Majello, era bello mettere insieme tutte quelle ore, assicurare una quotidianità a moltissime persone, agli alunni e al loro disamore, allo sguardo distante e vivo del malcapitato Coffaro (Giulio Guglielmann) e dei suoi compagni. Perfino di quel ragazzo sempre assente, destinato a sicuro insuccesso, quel Cardini che non c'è e proprio per questo crea problemi ai suoi professori, che non possono valutarlo e consentirgli di passare oltre, quel Cardini che non risponde e fa la mosca, "svolazzando" in giro per l'aula, e assicura a tutti noi, col suo sguardo dall'alto, una visione d'insieme, sintetica ed efficace, sulla scuola e sulla sua vita, il racconto sull'eterna immobilità della sua metamorfosi.
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