Ci sono persone che sanno chi sono sin da subito,sin dalla nascita. Lo sanno e non hanno nemmeno il bisogno di porsi tale questione. Ce ne sono altre, come me, che passano la vita a raccogliere frammenti di se stessi cercando di farne un’unità,plasmarla. Porre dei limiti potrebbe sembrare riduttivo,ma ciascuno di noi è un tassello di questa società in cui,volenti o nolenti,facciamo parte e nella quale in un modo o nell’altro bisogna integrarsi. Intagliare la nostra persona ci permette di inserirci ed incastrarci in una posizione a noi congegniale.
Se fossi un pezzo di un puzzle sarei uno di quelli che sembra incastrarsi perfettamente in uno spazio,ma che in realtà – per un questione di pochi millimetri – non entra. E tu non capisci dove cazzo vada e probabilemente sarà proprio il tassello che cadrà,finirà sotto il divano e nessuno troverà mai più. E il puzzle rimarrà incompleto.
Mi sono sempre domandata chi fossi io,come potessi difinirmi. “Names are fucking weird,like your parents just choose a sound that identifies who you are as a human being for the rest of your life”,io sono V. perchè i miei genitori hanno deciso così,ma se fossi stata Anna o Giulia o Aurora sarebbe stato diverso?Sarei diversa?Sarei un’unità o una moltitudine di V. che discutono e gridano e quasi mai sono d’accordo su qualcosa?
È il lavoro che definisce una persona?Molti si identificano attraverso di esso,ma davvero l’individuo viene caretterizzato in primis – se non solo – dalla tecnica,magari da un gesto ripetuto dieci mila volte in otto ore?
Come si fa a capire chi si è se non si sa nemmeno chi si vuole essere?
E voi? Se vi chiedessi chi siete cosa mi rispondereste?
V.