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Se abitassi in Sardegna. Ma non ci abito.

Creato il 17 gennaio 2014 da Cristiana

Se abitassi in Sardegna conoscerei l’isolitudine e quindi potrei davvero avere un’opinione non continentale dell’autonomismo.

Non ci abito, quindi sono cresciuta nella propaganda che l’Italia è quella sulla cartina, ho quei contorni nel codice geografico.

Non comprendo la lingua violata e censurata di chi non si sente italiano per vicinanza ad altri confini: vedi il caso del Sud Tirolo o Alto Adige a seconda dello sguardo che scegliate di avere guardando quella terra meravigliosa che conosco assai bene grazie ad un padre siciliano che a Vipiteno ha fatto l’alpino per due anni e di quei luoghi si è innamorato, portandosi appresso tutti noi.

Non comprendo quella della Padania benché ci abbia vissuto 11 lunghi anni, ma quella è un’altra storia. Quella lingua la parlo, la intendo per l’esattezza (il bergamasco) e so che è una lingua figlia delle dominazioni sul nostro suolo, del latino partito verso la Gallia e poi tornato e poi rimischiato ancora con le lingue delle invasioni barbariche, un po’ come tutti i dialetti italiani. So anche che la storia della Lombardia e di tutti i luoghi dove la Lega ha giocato al Risiko dell’autonomia è simile a quella delle regioni contigue, si mischia alla Toscana, all’Emilia, allo Stato Vaticano, alle repubbliche marinare, è stato Lombardo-Veneto dopo il congresso di Vienna e dopo Napoleone. Insomma non è una storia lontana a quella del resto d’Italia, si è persino mischiata più volte con la storia Vaticana e con i destini della Sicilia (vedere alla voce Federico Barbarossa, Enrico VI e Federico II di Svevia)

Non ho difficoltà invece a capire il senso dei Sardi per l’autonomia, perché più che un rifiuto di vicinanza o respingimento del diverso/più povero (vedere alla voce Lega) è condizione ontologica di solitudine. Non è colpa di nessuno se la Sardegna, come la Corsica sono state buttate nel mezzo del mediterraneo dai movimenti tettonici. Se guardo la cartina senza pensare alla propaganda delle vittorie di tutti i dominatri, penso che alla Sardegna poteva toccare in sorte di essere spagnola o indipendente così come alla Corsica di essere italiana o indipendente. Come a Nizza è toccato essere in Francia, a Bolzano essere in Italia, a Fiume essere in Jugoslavia, ora in Croazia.

Se si legge la storia sarda si intravede che essa è passata di mano in mano dai fenici ai cartaginesi ai romani e via dicendo. Apparentemente la storia d’Italia.

In profondità la Sardegna non è mai stata abitata dai dominatori, ma scambiata. La prima volta tra Cartaginesi e Romani. La sarditudine, a mio avviso, non è figlia tanto di una resistenza all’invasore come dice qualcuno, ma probabilmente è figlia della sua lontananza che, seppur strategica nel mediterraneo per tutti i dominatori, l’ha resa terra di conquista, ma mai terra da andare ad abitare per le masse. Insomma il sangue lombardo non esiste, c’è dentro di tutto checché ne dica Bossi. Nel sangue sardo c’è molta Sardegna, è un dato di fatto. Risiede nell’isolitudine e il fatto in se non ha alcuna caratteristica positiva o negativa. E’ così e basta. Lo raccontano i connotati dell’isola, lo racconta persino l’elenco del telefono di una qualsiasi provincia sarda. Ancora oggi.

Insomma la Sardegna è in Italia per caso e all’Italia ha dato scrittori e politici, come ogni regione.

Ora, in una dimensione postbellica, in cui l’Europa è l’unità di misura della politica, secondo me è complicato parlare di autonomia e questo è l’unico motivo per cui (forse) non voterei Michela Murgia se abitassi in Sardegna. Ma se ci abitassi forse conoscerei quell’isolitudine e forse la voterei.

Quindi permettetemi se definisco un limbo politico rispetto alla Sardegna, una sospensione di giudizio e se non liquido il tema dell’autonomia con armi che sarebbero solo figlie di quello che ho studiato sui libri della propaganda delle vittorie.

Il tema della Sardegna, se deve essere tema italiano, deve essere un tema che affronti quella solitudine, che scardini l’idea della terra dominata. Che renda parte, senza umiliare. Che rispetti, senza allontanare. Ne so pochissimo di Sardegna, ma ne so un po’ di che significa crescere su un’isola perché me lo sono fatto raccontare per scrivere un libro e l’ho condiviso con i cagliaritani in una bellissima presentazione di “Verrai a trovarmi d’inverno”, ospite dI una libreria in cui Michela è padrona di casa, che di un’isola raccontava.

Michela Murgia non è una VIP prestata alla politica. Non è un’operazione di immagine, non è la faccia ingenua di un finto progetto di rinnovamento come se ne sono visti in molte parti d’Italia quando la politica non aveva il coraggio di metterci la faccia per impotabilità.

Chi segue Michela da anni (nel mio caso in modo assolutamente discreto e distante, da lettrice) sa bene che Michela è pervasa dall’amore per la sua terra a cui ha dato gigantesca dimensione politica oltreche intellettuale. Qualsiasi scrittore del suo livello (e chi scrive sa bene quanto è difficile persino vendere 10mila copie, figuriamoci le copie che ha venduto lei) si terrebbe lontanissimo dal test delle urne e dal livore che la politica scatena nella peggiore delle piccolezze umane: la lotta per il potere invece che la competizione per il Bene Comune.

Non si rinuncia alla scrittura e alla fama per “sporcarsi” in politica. Non di questi tempi. Non avveniva nemmeno ai tempi degli intellettuali e il PCI dove comunque ci si limitava ad appartenere ad una parte, a militare e al dibattere furiosamente sulla forma vera che dovesse avere quell’impegno. Su questo mi interrogo spesso persino io.

Non conosco Pigliaru. Molti amici del PD sardo, amici del PD Sardo sano, se posso aggiungere, stanno entuasiasticamente appoggiando la sua candidatura. Ecco, per chi come me vede nella trasversalità (non l’inciucio, ma lo stare insieme su cose condivise al di là delle appartenenze, cosa a volte difficile persino tra correnti dello stesso partito) la forza più grande che la politica non ha ancora messo in campo, è complicato non augurarsi che Pigliaru e Murgia governino insieme la Sardegna dosando l’isolitudine sarda con la capacità di tenere insieme il Paese (quella visione di parti sociali in questo caso ribaltabile alla geografia) che è quello che mi immagino debba fare chi milita in un partito come il nostro, anche in Sardegna.

Scusate se facendo gli in bocca al lupo a Pigliaru scelto all’unanimità dal PD sardo, non posso non negare che se abitassi in Sardegna e conoscessi l’isolitudine magari voterei Michela.

Ma non ci abito.

E allora resto a guardare sperando sempre che la buona politica ad un certo punto si saldi, al di là delle appartenenze.

In bocca al lupo soprattutto alla Sardegna.

P.s. E non ho detto nulla sul fatto che come ovunque anche il Pd Sardo ha fatto carne di porco della propria terra, come in tante altre regioni. Il motivo per cui l’autonomismo diventa difesa della propria terra, almeno dove questo può accadere. Noi nel Lazio, manco a questo possiamo attaccarci.

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