I contatti con Vito Ciancimino, che avrebbe mediato tra il Ros e Cosa nostra per far cessare le stragi, il rapporto mafia e appalti di cui entrò in possesso anche Borsellino, gli incontri con la dottoressa Liliana Ferraro, che poi parlò al giudice prima della strage di via D’Amelio riferendogli che il Ros aveva contattato Ciancimino. Sono solo alcune delle circostanze alle quali gli ex ufficiali Mario Mori e Giuseppe De Donno si sono rifiutati di rispondere. I due si sono avvalsi della facoltà di non fornire chiarimenti alla Corte d’Assise di Caltanissetta, che celebra il processo Borsellino quater, in quanto sentiti come testimoni assistiti. Di volta in volta, quindi, entrambi hanno deciso se rispondere o meno alle domande di pm e avvocati qualora la risposta potesse ricondurre potenzialmente ad una responsabilità rispetto ai capi di imputazione contestati in altro procedimento (quello sulla trattativa Stato-mafia).
Certo è un dato di fatto che al silenzio dell’udienza di oggi si è contrapposto, da parte del prefetto Mori, una posizione diametralmente contraria quando recentemente venne intervistato da Eva Giovannini per Ballarò. In quella occasione, infatti, l’ex generale del Ros parlò a lungo delle vicende che lo coinvolsero dando la sua versione dei fatti, parlando di “baratto” anziché di “trattativa”: “Io ero la Polizia giudiziaria che stava facendo operazioni antimafia e quello era un mio compito. Io avevo il coraggio di andarci – disse alla giornalista, ricordando quando si recò in Piazza Navona a casa di Ciancimino – nessun altro aveva il coraggio, erano tutti nascosti sotto alle scrivanie in quel periodo. Quella fatta con Ciancimino è una trattativa, però è una trattativa consentita dalla norma”. “Vito Calogero Ciancimino era il personaggio più debole – proseguiva durante l’intervista – sul suo capo si stavano addensando una serie di procedimenti che lo avrebbero portato sicuramente in galera, quindi era debole. Ci poteva dare qualche spunto e barattare, secondo lui, questo con un trattamento migliore”. Durante l’udienza, invece, Mori, così come De Donno, non si è sbottonato, limitandosi a ricostruire per sommi capi, in sede di contresame rispondendo all’avvocato Repici, la sua carriera fino al biennio stragista, e poco altro: sulla vicenda della lettera del corvo (nell’89 si susseguirono cinque lettere anonime contro il giudice Giovanni Falcone ed altri magistrati palermitani) “la ricevetti, come altre autorità a Palermo”, sull’ex generale Subranni, del quale Borsellino disse che qualcuno gli riferì che era “punciutu” (affiliato a Cosa nostra, ndr) “Lo conobbi quando fui trasferito a Palermo”, sull’incontro con l’ex procuratore di Palermo Giammanco a ridosso della strage di via D’Amelio riportato sull’agenda di Mori, “si può ritenere che per cortesia io lo abbia salutato, ma non ricordo di aver parlato delle nostre attività”.
Mori e De Donno sarebbero dovuti essere sentiti il 19 novembre, giorno in cui non si sono presentati adducendo impegni improrogabili. La Corte aveva dunque ammonito i due ex ufficiali del Ros che, se non si fossero presentati neanche questa volta, avrebbero dovuto subire l’accompagnamento coatto. Il processo è stato dunque rinviato al 13 gennaio.