La provocazione è di Luli Radfahrer che in un articolo pubblicato sulla Folha de S. Paulo il 9 marzo scorso si domandava: "Se tutti vogliono essere artisti nell'epoca del fai-da-te, qualcuno lo sarà realmente?".
Nel mirino del giornalista brasiliano ci sono le nuove tecnologie, che avrebbero fatto piazza pulita di un fondamento per lungo tempo considerato irrinunciabile: il talento si sviluppa solo se è accompagnato da una pratica costante. Oggi invece basta qualche clic e tutti possono dirsi designer, fotografi o musicisti.
Ma sotto accusa è anche la tivù, con le fiction ambientate in tribunali e ospedali dove più che lo studio e la pratica sembrano essere la bellezza e la disinvoltura i requisiti fondamentali per diventare bravi medici o avvocati di successo. Del resto, si sa, "calli e vesciche non sono per niente sexy", ironizza Radfahrer.
Già, ma a chi giova tutto ciò? Questo il nostro giornalista non se lo chiede, limitandosi a osservare che il risultato di questa situazione sono "crisi di autostima ed epidemie di depressione", che a loro volta hanno come "effetto collaterale una società composta da persone insoddisfatte, egocentriche, disorientate e insicure".
Non conosco abbastanza a fondo la realtà brasiliana per poterne discettare e perciò colgo la provocazione del collega per rispondere alla domanda "a chi giova?" a partire dalla situazione italiana.
Nel Belpaese, dove la disoccupazione giovanile sfiora la cifra record del 30%, le nuove assunzioni avvengono quasi solo con contratti a tempo determinato. Secondo i dati forniti dal sito www.lavoce.info i lavoratori con contratti a termine o in part-time involontario (tecnicamente sotto-occupazione) al Dicembre 2010 erano saliti a 4.145.113 e il fenomeno è destinato a crescere se continuerà l'assenza di politiche volte a ridurre il dualismo del nostro mercato del lavoro.
Se oggi lavoro in un call-center e fra sei mesi da Mc Donald's, se oggi faccio l'agente immobiliare e fra sei mesi o un anno finisco a distribuire volantini, perché mai mi devo professionalizzare?
Del resto, economisti e politici non vanno predicando da anni che quello che conta è "essere flessibili"? E da quando in qua flessibilità fa rima con professionalità?
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