In realtà, l’operazione in corso in queste ore è un vero e proprio atto di guerra contro la popolazione, in una città che è stata già teatro di una strage xenofoba, nel maggio del 2014, avvenuta sotto gli occhi distratti della comunità internazionale (ne abbiamo parlato qui http://www.conflittiestrategie.it/eccidio-di-odessa-una-ver…, qui http://www.conflittiestrategie.it/odessa-la-strage-censurat… e qui http://www.conflittiestrategie.it/odessa-attende-la-sua-ven… ). Quest’ultima si è girata dall’altra parte di fronte alle esecuzioni sommarie e ai delitti efferati commessi da squadracce di nazisti ed ultras ucraini, appoggiati dalla polizia e, probabilmente, infiltrati dai servizi segreti di Kiev e da personale non autoctono (membri di agenzie private statunitensi). Episodi come quello della Casa del Sindacato, un pogrom in piena regola con decine di morti e feriti (comprese donne incinte), tutti filorussi, non si cancellano facilmente dalla memoria collettiva e gridano vendetta. Così come gridano vendetta i servizi dei media nostrani che, all’indomani dei fatti di sangue, si premurarono di nascondere in ogni modo la verità all’opinione pubblica occidentale. Qualche quotidiano tentò persino di capovolgere la dinamica degli eventi addebitando “a russi e uomini provenienti della vicina transdnistria” la responsabilità degli omicidi. (Roberta Zunini su Il Fatto Quotidiano). Una macchia come questa, conseguenza di un settarismo senza precedenti, squalifica la professione e porta la coscienza di un individuo alla stessa bassezza di uno stuoino, sempre ammesso che i giornalisti ne abbiano mai avuto una.
Nei giorni passati si sono verificati atti di sabotaggio nelle strade di Odessa. Sono esplose bombe in alcune zone del centro. Per ora si conta un solo morto. Non c’è abbastanza però per giustificare l’arrivo dei blindati e dei soldati. Ma Kiev ha paura, il suo governo diventa ogni giorno più impopolare, anche nelle aree più fedeli alla rivolta contro il precedente esecutivo, come Lvov, dove la gente contesta Poroshenko e rimpiange Yanukovic (vedere per credere https://www.youtube.com/watch?v=3N_4iCy8DXI ).
La crisi economica mette alle strette gli oligarchi al potere che, coartati dagli organismi internazionali (FMI), addossano alle masse ucraine provvedimenti finanziari depauperanti e misure di ordine pubblico eccessivamente restrittive, conseguenza dei timori di nuovi disordini.
Il risultato è uno Stato di polizia paranoico – reso ancora più isterico dalla mancanza di controllo sugli elementi paramilitari nazionalisti, i quali non rispondono alle autorità ufficiali- che conculca le libertà dei singoli, rapina i loro patrimoni e i loro redditi ed è incapace di decidere autonomamente sul suo futuro geopolitico. L’Ucraina che voleva l’affrancamento dai russi, almeno nella propaganda dei majdanisti, è ora imbrigliata da molteplici influenze esterne, nemmeno coerenti tra loro. La fine ingloriosa della rivoluzione identitaria potrebbe essere questione di poco tempo. Per esempio, se Odessa cadesse nelle mani dei filorussi, Kiev sarebbe definitivamente spacciata. Kharkov e Zaporozhye si solleverebbero a loro volta e tutto il sud-est, che si sente legato da un comune destino con il Donbass, formerebbe un unico contesto territoriale, con aspirazioni omogenee. La Nuova Russia sarebbe fatta ma, al contempo, forse anche superata perché l’urto arriverebbe a scuotere e far crollare Palazzi della Capitale. A quel punto il Paese diventerebbe preda degli elementi e dei movimenti più razzisti e nazionalisti che oggi sono in minoranza ma pericolosamente armati. Per l’Occidente divverrebbe molto arduo sostenere questi impresentabili senza le solite schermature ideologiche. Se Washington e Bruxelles si convincono a mollare l’osso allora Mosca accantona il progetto Nuova Russia. Il nastro viene riavvolto e si ricomincia daccapo, provando a riallacciare i rapporti tra le parti con maggiore serietà (per quello che consente la fase storica). Se non accade, la balcanizzazione dell’Ucraina è inevitabile, come il logoramento delle relazioni tra Est ed Ovest, già piombate al minimo sindacale.
Restiamo della convinzione che il Cremlino preferisca esercitare la sua egemonia su tutto il Paese (per questo la federalizzazione è ancora la sua opzione ottimale) piuttosto che accollarsi i costi di un’annessione parziale con molte incognite. Tuttavia, saranno gli sviluppi degli avvenimenti a stabilire le priorità, eventualmente modificando l’ordine delle scelte e la loro concretizzabilità. Tutto dipenderà dal sostegno che i russi daranno agli ucraini e alle loro proteste. Se questo sarà limitato vorrà dire che per ora essi si accontentano di mantenere il Paese in standby, in attesa di tempi migliori. Se, invece, il loro supporto al malcontento delle popolazioni del sud-est dovesse divenire ancora più attivo, le cartine dell’Ucraina dovranno essere ridisegnate. Purtroppo con altri lutti e ferite. Non sarebbe la prima volta. Aspettiamo e vediamo