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Se i carnefici protestano contro le vittime, si è passato il segno

Creato il 28 marzo 2013 da Alphaville

I proverbi sono la saggezza dei popoli, si dice. E se c’è un proverbio che recita “peggio la toppa del buco” ci sarà un motivo.

Un bell’esempio recente è quello di Roberta Lombardi, capogruppo alla Camera del M5S, quando per rimediare a certe affermazioni giudicate un po’ troppo disinvolte dall’elettorato e dai media si è messa a pasticciare con dipietriani distingui e distinguini avvitandosi in quella che è stata impietosamente definita una gaffe.

Un esempio migliore, invece, è quello della ventina di persone che ieri, a Ferrara, si sono messe a manifestare sotto le finestre del Comune. Detto così sembra niente: gli artt. 17 e 21 della nostra Costituzione lo prevedono. Ma il punto è che a manifestare, ieri, erano alcuni poliziotti del sindacato Coisp; e manifestavano cosa? Solidarietà a quattro colleghi  condannati al carcere dal Tribunale di sorveglianza di Bologna, con uno striscione: «La legge non è uguale per tutti. I poliziotti in carcere, i criminali a casa. Solidarietà, amicizia, speranza, affetto per Luca, Paolo, Monica, Enzo».

Fin qui, di nuovo, niente di strano. Ma, di nuovo, il punto è che i poliziotti condannati sono Luca Pollastri, Paolo Forlani, Monica Segatto ed Enzo Pontani: ovvero i quattro agenti che a Ferrara, la notte del 25 settembre 2005, ammazzarono letteralmente di botte il diciottenne Federico Aldrovandi. Dopo un iter giudiziario alquanto contorto, il 6 luglio 2009 i quattro vennero condannati in primo grado a 3 anni e 6 mesi di reclusione (il 19 giugno il pm titolare del caso aveva chiesto 3 anni e 8 mesi), per “eccesso colposo in omicidio colposo” — condanna poi confermata in cassazione il 21 giugno 2012. Grazie all’indulto, il tempo effettivo da passare dietro le sbarre si è ridotto a 6 mesi, come confermato il 29 gennaio 2013 dal Tribunale di sorveglianza di Bologna; il 18 marzo 2013, appena dieci giorni fa, Monica Segatto è stata scarcerata in grazia del decreto svuota-carceri, e da allora può beneficiare degli arresti domiciliari. Federico Aldrovandi, che avrà per sempre diciott’anni, non potrà più beneficiare di niente.

È a questo punto che scatta la toppa peggiore del buco: perché gli agenti avevano organizzato il sit-in di protesta sotto le finestre del municipio di Ferrara. Municipio nel quale — ma tu guarda le combinazioni — lavora Patrizia Moretti, la madre di Federico Aldrovandi. Potevano i manifestanti non esserne al corrente? Fatto sta che la signora Moretti ha avuto il fegato di scendere in piazza sbattendo in faccia agli sbirri la foto del figlio sfigurato sul tavolo dell’obitorio, e a quel punto i manifestanti hanno girato sui tacchi — un po’ per andarsene, ma più che altro per rifiutarsi di guardare in faccia quella realtà che li inchioda senza appello. A seguire, il farfugliamento poliziesco: “Non sapevamo che lavorasse in Comune”, si è giustificato il segretario nazionale del Coisp Franco Maccari ai microfoni della bolognese Radio Città del Capo. Scusi, signor poliziotto-che-dice-che-la-foto-è-falsa: con tutto il casino che avete armato in questi anni per salvare il derrière ai vostri  quattro picchiatori Lei mi vuol far credere che nessuno si sia peritato di raccogliere informazioni sulla famiglia Aldrovandi? Signor poliziotto, Lei pensa davvero che il solo fatto di indossare una divisa possa metterLa al riparo dal ridicolo? O dal sacrosanto sdegno dei cittadini dabbene?

Non dirò che la cosa è stata di gravità inaudita, perché sarebbe un’ovvietà. Dirò, invece, che non solo autorizzare, ma anche semplicemente concepire l’idea che sia legittimo andare a protestare per la condanna di quattro assassini sotto il naso della madre dell’assassinato, è indice di una percezione assai malsana dei rapporti che devono intercorrere fra il cittadino e il potere. Perché con quale faccia, con quale cuore, con quale coscienza si può mai pensare, da carnefici, di andare a protestare contro le vittime? Siamo ben oltre la tragedia greca — siamo alla farsa italica, col suo corredo di arroganza e sguaiataggine, ed è questo che dovrebbe farci paura: perché abbiamo passato il segno.


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