“Follow the money” dice un proverbio americano. Seguire i soldi è un ottimo sistema per comprendere dove va la società e da dove viene. Per farlo però bisogna essere svegli, preparati competenti e bene attrezzati. E motivati. Soprattutto se si tratta di fondi occulti, di risorse messe in circolazione dalla malavita, di proventi di attività illegali.
Lo sappiamo tutti, sembra non saperlo invece il governo, se nella legge di stabilita’ al comma 21 dell’articolo 4 si penalizza proprio il personale della Direzione investigativa antimafia, riducendogli la busta paga, con una un provvedimento che decurta fino al 20% delle loro entrate mensili, come fosse una misura punitiva nei confronti di chi ha svolto indagini delicate ed ha negli ultime 3 anni sequestrato beni per 5,7 miliardi di cui 1, 2 miliardi di euro sono stati confiscati. E che si aggiunge alla sottrazione di fondi che sta strangolando il funzionamento del servizio di protezione per i pentiti e testimoni di giustizia, smantellando nei fatti le strutture cardine dell’antimafia. E domani il personale della polizia e della Direzione protesta con un sit in a piazza Montecitorio in occasione del question time.
Escono dalla realtà per scadere a leggenda, nomi e luoghi diventati simbolici: Parco Sud, Wall Street, Eldorado, Cerberus, For a King, Star Wars e tanti altri, operazioni investigative e giudiziarie di successo. E restano la narrazione e il trionfalismo di arresti, eccellenti soprattutto per l’impatto mediatico.
Ancora una volta il governo preferisce eroi, martiri, misure speciali e riflettori, invece di promuovere una azione continua, capillare ed efficiente, condotta da una forza in campo fatta di professionisti preparati, impegnati quotidianamente e sostenuti da un tessuto organizzativo capillare, robusto, ben attrezzato e moderno, stimolati e incentivati, proprio perché sono in prima linea nella tutela delle garanzie e nella difesa della legalità.
Per fronteggiare la criminalità organizzata oggi non serve la muscolarità dei corpi speciali, il frastuono dei ripetitori spettacolari: perché si è mossa silenziosamente, in modo apparentemente invisibile, si è insinuata negli interstizi finanziari, si è posata con il favore di molte insospettabili complicità negli ampi alvei della corruttela. E chi credesse di avere di fronte un nemico fatto di padrini e picciotti commetterebbe una pericolosissima sottovalutazione: noi, gli onesti, riposiamo nelle certezze delle nostre liturgie, convegni, commemorazioni, libri, analisi. Loro, i criminali, agiscono nell’impunità mirando a profitto e potere con procedure e metodi che si sono profondamente innovati: attività imprenditoriali collocate nell’economia reale attraverso un intreccio di partecipazioni azionarie, joint venture, investimenti immobiliari, nel quale il traffico di droga è solo una voce di profitto rispetto al controllo soffocante sulla spesa pubblica. È cambiata la fisionomia dei loro “amici”: una volta quelli che favorivano, proteggevano, coprivano, restavano nell’ombra, fuori dall’organizzazione. Oggi ne sono un pezzo, partecipano in prima persona e a pieno titolo primari, amministratori, parlamentari, commercialisti, banchieri o bancari, operatori in doppiopetto e colletto bianco, capaci di coprire tutte le esigenze della filiera malavitosa: sparare, riciclare, progettare, approvare, firmare, mettere in cima o in fondo alla pila di permessi, fatture, autorizzazioni.
È cambiata anche la geografia del capitalismo mafioso e criminale, i suoi teatri e i suoi luoghi. Si diversifica dopo il passaggio dall’economia del racket, dell’estorsione, del contrabbando, del controllo della prostituzione, del traffico della droga, ai nuovi comparti: ciclo dei rifiuti, cantieri autostradali, convenzioni sanitarie, rifacimenti delle reti ferroviarie, cantieri di carceri e caserme, centri commerciali, bretelle autostradali. Ma anche l’Expo, i finanziamenti comunitari, il borsino dei precari e le cooperative sociali.
Le mafie e la ndrangheta soprattutto hanno compiuto una formidabile e capillare penetrazione in tutta Italia e oltre, non c’è settore merceologico, professionale o attività reddituale esente dall’Ortomercato di Milano alle società immobiliari, fino alle aziende che forniscono bodyguard alle discoteche, in Piemonte come in Val d’Aosta, dalla Liguria dove si registra un grande sviluppo dell’attività criminale calabrese coordinata da un organo di “controllo”, la cosiddetta Camera, al Veneto dove si ipotizza una poderosa attività di approvvigionamento di armi, ordigni e esplosivi. Nella “Padania” ricca, potente e influente la criminalità condiziona il sistema degli appalti, le gare, il settore dell’edilizia, quello dell’energia, i cantieri, le discariche, le attività di movimento terra e la gestione della cave. E è l’area dove vengono monitorati i più cospicui flussi di denaro sospetto. Secondo Nicola Gratteri la sola ‘ndrangheta opera in sedici regioni e ha collegamenti in altre tre e che sarebbero almeno tredici i politici lombardi sorpresi a tessere rapporti con essa. E secondo la Commissione Parlamentare la penetrazione della criminalità nelle regioni italiane e in particolare in quelle del Nord è capillare tanto da aver raggiunto un livello di integrazione profondo con il contesto sociale, economico e politico. Tanto profondo da essere accettata come un fatto normale dalla pubblica opinione.
Ci sono due modi per favorire questo processo malato di acquiescenza.
Un modo lento e subdolo, facilitato dalla pratica del rimescolamento di pubblico e privato che ha eroso l’autorità delle istituzioni, esaltato dall’impoverimento generale a detrimento del senso della legge e di quello della giustizia anche sociale, promosso dall´incremento dell´evasione fiscale dalla pratica trasversale e ormai strutturale della corruzione in una specie di divorzio tra governo della legge e governo delle convenienze, dove per governo delle convenienze non deve intendersi ciò che è prudente o necessario per il bene del Paese, ma ciò che è utile al fine di consolidare o proteggere opachi legami di potere e interesse tra individui o gruppi sociali. Quando gli affari di stato sono trattati come affari di partito e gli affari di partito come affari personali è facile far passare l’impunità per garantismo. La logica privatistica alimenta la corruzione e nutre la politica dell’illegalitá che dà luogo all’ anti-Stato, il lascito più tremendo di questo regime, che identifica la decisione con l’emergenza, l’informazione con la propaganda, la giustizia con la persecuzione, la legge con i lacci alla libertá, la pratica dell’illecito con la favola della «poche mele marce».
L’altro modo per impoverire la lotta all’illegalità è proprio quello di togliere risorse, potenza e vigore agli operatori della sicurezza, quelli che non sono chiamati semplicemente a custodire l’ordine pubblico, ma soprattutto a mantenere le garanzie del rispetto delle leggi, dalla tutela della qualità delle istituzioni e della loro autorevolezza.
È una convinzione di questo governo che forze dell’ordine depauperate, avvilite, umiliate siano più manovrabili e quindi inclini ad assecondare comandi iniqui. Così come cittadini impoveriti e colpiti nella dignità, nel lavoro, le cui aspettative di futuro sono disattese, diventino bambini che è facile persuadere e guidare verso soluzioni autoritarie. Ma ubbidire non è una virtù, quando il vizio e il crimine la fanno da padroni.