Magazine Cinema
La diversità raccontata con garbata ironia dal film “La famiglia Bélier”
Sono tutti sordomuti tranne Paula. Con la sua normalità è lei la “diversa”. E quando scopre la sua bella voce, si trova dinanzi una scelta difficile
di Gaetano ValliniUltimamente il cinema francese ha dimostrato di saperci fare quando si tratta di raccontare la diversità. Che si cimenti nel narrare storie di immigrazione, o comunque dell’altro percepito come diverso, basti pensare a Giù al Nord, o vicende che hanno come protagoniste persone diversamente abili, e qui l’esempio migliore è Quasi amici, spesso trova anche il modo di coniugare commedia e dramma senza cadere nel pietismo o nello stereotipo, riuscendo persino a scherzarci sopra. Su questa scia si colloca anche La famiglia Bélier di Éric Lartigau, campione di incassi in patria e ora nelle sale italiane, che parla di diversità mostrandola però da un’inattesa prospettiva.Con intelligenza e garbo il regista ci porta infatti a conoscere una famiglia particolare, i Bélier appunto, in cui tutti sono sordomuti, tranne uno dei due figli, Paula, 16 anni. Con la sua normalità è lei la vera “diversa” del gruppo. Nella vita di tutti i giorni Paula, oltre a frequentare il liceo, aiuta mamma, papà e fratello minore nella gestione della fattoria di famiglia. Ma soprattutto è il collegamento tra i sui genitori e il mondo esterno, facendo loro da interprete con i fornitori e con i clienti che si accostano al loro banco dei formaggi al mercato del paese. Un giorno, incoraggiata dal professore di musica che ne scopre un inatteso talento in una voce incantevole, decide di prepararsi per partecipare al concorso canoro di Radio France a Parigi. Una vittoria comporterebbe una scelta di vita per lei radicale: allontanarsi dalla sua famiglia. Che vive questa eventualità come un dramma, il crollo del loro mondo, e proprio ora che il capofamiglia si è addirittura candidato alla carica di sindaco. A ostacolare Paula è però soprattutto la mamma, che non ha mai accettato la “diversità” della figlia come un dono ma quasi come una maledizione, nonostante tutto.Nel presentare il grande dilemma di Paula — interpretata dalla brava Louane Emera, scoperta attraverso uno dei talent televisivi d’oltralpe e subito premiata con un César come miglior attrice esordiente — la spumeggiante sceneggiatura, talora forse un po’ sopra le righe, affronta molti temi importanti. Il racconto della fine dell’adolescenza di questa ragazza e l’ingresso nel mondo adulto diventano il pretesto per parlare della responsabilità verso se stessi e verso le persone care. Ma anche della separazione vissuta come una lacerazione, nonché del diritto di scegliere il proprio destino pur sapendo che questo avrà un costo, nella certezza tuttavia che si può continuare ad amare pur lasciando a ciascuno il proprio spazio di libertà. Per questo La famiglia Bélier non è solo un bel film sulla diversità, ma soprattutto sulla famiglia, sugli affetti che la tengono unita, e sulle scelte che a un tratto si è costretti a compiere per trovare la propria strada nella vita. Scelte vissute a volte come un tradimento, ma indispensabili per spiegare le ali e prendere il volo, da soli, come canta Paula durante l’audizione per il concorso. E saranno proprio la bellezza della musica e le emozioni suscitate da una canzone di Michel Sardou ad aprire, inaspettatamente, una breccia nell’apparentemente impenetrabile muro del silenzio, nel vuoto ovattato che circonda il mondo dei Bélier.
Interpretato da François Damiens e Karin Viard, attori molto noti in Francia, che hanno dovuto imparare il linguaggio dei segni — l’unico vero sordomuto del cast è il figlio minore, Luca Gelberg — La famiglia Bélier fa spazio ai sorrisi e alla commozione senza mai cadere nella banalità. Un film a suo modo furbo, che strizza l’occhio ai giovanissimi ammiccando agli adulti, ma che invita a riflettere su questioni profonde. Dimostrando che con leggerezza si può parlare anche di cose molto serie.(©L'Osservatore Romano – 27 marzo 2015)
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