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Se il mondo intorno crepa

Creato il 18 giugno 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Se il mondo intorno crepa

Anno: 2014

Durata: 40′ 

Genere: Western

Nazionalità: Italia

Regia: Stefano Jacurti e Emiliano Ferrara

Le dure regole del selvaggio west irrompono in un ranch moderno tra le note di una musica country e le righe di un vecchio libro. In un parallelismo tra antico e moderno che ruota intorno allʼassenza delle istituzioni e allʼemarginazione, due fuorilegge, Black Burt (STEFANO JACURTI) detto “il poeta” perché prima di uccidere declama versi di morte e Butcher Joe (SIMONE PIERONI) detto “il macellaio”, sono braccati da tempo per le loro imprese violente. In viaggio per il Messico,si danno appuntamento per pianificare le loro prossime rapine in una ghost town sospesa tra la polvere del deserto e i fantasmi del passato. Lungo il suo cammino il poeta incontra una città piena di vita, abitata da ubriachi e prostitute che non ha posto per chi come Sheila (EMANUELA PONZANO) lotta per guadagnarsi da vivere con il proprio corpo senza lʼuso della vista. Messa in un angolo e denigrata, la condizione della donna si mescola al vuoto delle coscienze degli uomini e ai terribili ricordi di torture e di gente trucidata. Il passato torna prepotente con il suo carico di tormenti per le atrocità compiute, ma i nodi da sciogliere imbrigliati da tempo sono troppi e il destino per Black Burt e Butcher Joe ha riservato qualcosa di molto diverso…

Non mi piace parlar male di un film, stroncarlo, come si dice nel gergo della critica, e per tale ragione cercherò di porre delle domande anziché produrmi in affermazioni volte a demolire l’opera.

Partiamo con ordine. Parliamo di cinema indipendente, a basso costo, che, nella fattispecie, si confronta con il genere western: Se il mondo intorno crepa di e con Stefano Jacurti (e la co-regia di Emiliano Ferrara) è un film che trova ispirazione nei grandi classici del passato da Leone a Ford. Una prima domanda: ha senso che il cinema indipendente, che non può contare su ingenti risorse, si confronti con un genere che, per sua natura, necessita invece di un forte sostegno economico? Non si corre il rischio di scadere nella parodia involontaria? E non tanto, o non solo, per demerito degli autori, ma proprio per questo meccanismo produttivo che sta alla base? Nel film si nota la cultura cinematografica, e non solo, di Stefano Jacurti, che riesce comunque a realizzare alcune sequenze gradevoli, ben girate, anche se il suo protagonista, Black Burt detto “il poeta”, si produce in lunghi monologhi , forse anche lirici, ma che stridono proprio con la tradizione del western, in cui la laconicità dei personaggi è ciò che il più delle volte ne costituisce la forza morale. E poi perché realizzare un mediometraggio (di più o meno quaranta minuti)? Perché c’erano pochi soldi, o per una vena creativa ridotta?

Un film con queste caratteristiche potrà solo circolare nei festival, mentre sarebbe cosa buona e giusta giungere anche a un pubblico pagante, come recentemente sta accadendo con un certo filone produttivo e distributivo del cinema indipendente italiano, che sta riscuotendo un discreto successo. Insomma, ritorna sempre la stessa osservazione: una vasta parte del nuovo cinema indipendente sembra essere indirizzata il più delle volte a emulare opere, soprattutto di genere, che richiederebbero molti più investimenti, e il risultato è, per tale motivo, molte volte scadente. Ma è un problema di idee prima che di soldi. Faccio un esempio: La rieducazione del collettivo Amanda Flor, realizzata praticamente senza budget, è riuscita ad arrivare a un grande pubblico, a diventare un piccolo caso, perché coglieva, attraverso una feroce e al tempo stesso divertentissima satira, alcuni temi della contemporaneità, dal lavoro ai rapporti di produzione, dal precariato economico a quello esistenziale, con una freschezza e immediatezza che spiazzavano piacevolmente. Il film di Jacurti e Ferrara, invece, non ha questa forza, proprio perché imbrigliato nel tanto amato genere western, ed infatti le aspirazioni poetiche degli autori stridono fortemente col contesto in cui sono inserite, rendendo il tutto un po’ un pasticcio poco apprezzabile. Capisco il sogno di Jacurti (e chi scrive non ha alcuna autorevolezza per infrangerlo), la magia del western, ma per realizzare un film indipendente bisognerebbe prima fare queste poche ma necessarie valutazioni.

Luca Biscontini


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