Ricordo che durante una chiacchierata con un mio professore dell’Università, appassionato di logica matematica, mi raccontò che mentre accompagnava a scuola il figlio con alcuni compagni di classe utilizzava gli argomenti dei bambini per buttare lì domande o quesiti, senza che questi apparissero come tali, per capire come ragionavano. Rimase molto colpito, ma forse sarebbe meglio dire deluso, vedendo come gli amici del figlio fossero molto più intuitivi.
Ai tempi era molto lontana da me l’idea della paternità ma, non so perché, quella conversazione mi è rimasta in mente. Forse rimasi molto colpito, ma forse sarebbe meglio dire deluso, dall’idea di “testare” il proprio figlio.
Ma ragionavo solo come figlio.
Adesso, posso provare una certa tenerezza per quel padre, un po' particolare e così appassionato della materia, che sondava, anche se in modo un po' maldestro e poco ortodosso, le basi per una futura affinità con il proprio bambino.