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Se in Calabria va in scena “Terapia e pallottole”

Creato il 27 gennaio 2012 da Plabo @PaolaBottero

Se in Calabria va in scena “Terapia e pallottole”“Sensazione di forte infelicità e malessere diffuso, continuo stato d’animo pessimista, senso di intrappolamento in un tunnel senza via d’uscita”. Ecco alcune delle connotazioni tipiche della depressione, che rende il malato vuoto, non più capace di gioire né di arrabbiarsi: una sorta di “morte interiore”. A leggerla così, è persino credibile che la depressione si sia impossessata di Giuseppe Pelle, il boss della ’ndrangheta che lo scorso fine settimana ha sbaragliato ogni altra notizia “calabra”, commissione di accesso al Comune di Reggio compresa.

Affiorano facce note e amate, quelle di Robert De Niro e Billy Crystal, ripercorrendo le intercettazioni in cui il boss ordina alla moglie di chiamare il 118: «Gli dici “questa mattina si è sentito male un’altra volta”… Dici che deliravo, che gridavo… che volevo impiccarmi, buttarmi dalla finestra».

Ti scorrono da una parte le immagini di Paul Vitti, potente boss di New York, in “Terapia e pallottole”. Dall’altra le parole del medico del 118, Francesco Moro, mentre suggerisce al paziente l’esatto comportamento e le modalità da tenere per rendere quanto più verosimile il «film bellu e pulitu», inscenato per ottenere l’immediata scarcerazione del boss e il trasferimento in una clinica amica, da cui uscire presto in tutta tranquillità.

È stato necessario un pentito, Salvatore Lovato, per scoprire il gioco sulla depressione: «È una di quelle patologie astratte che tu non sai mai dire se uno sta fingendo o non sta fingendo, e in fase successiva non è dimostrabile che ti sei ripreso… Un braccio rotto o la milza perforata sono patologie che tramite le analisi, radiografie e via discorrendo puoi evincere se c’è ancora il male in essere, mentre la depressione chi lo può dire se uno è guarito o meno? Tanto più se hai l’appoggio della clinica che ti fa da supporto, puoi stare una vita a essere depresso. Siamo in carcere, e si fa in modo che la persona vada a finire in una di queste cliniche… Poi devi uscire per poter tornare nella zona anche con i domiciliari a casa, e poter riprendere il controllo del territorio… Per curare questo tipo di patologie il paziente necessita di stare vicino agli affetti familiari… Ai consulenti lo dicevamo noi quello che dovevano scrivere».

Oltre al medico in servizio al 118 di Locri, così bravo nell’insegnare a recitare, la regia del «film» è stata seguita da un altro medico, Guglielmo Quartucci, responsabile della casa di cura privata per malattie neuropsichiatriche “Villa degli Oleandri”, alle porte di Cosenza, e dall’avvocato Francesco Marcello Cornicello.

«Psicosi depressiva ed ansia» e «tendenza all’isolamento, perdita di interesse per le comuni attività di vita, apatia, insonnia ostinata»: «dopo la morte del padre la sintomatologia è andata aggravandosi». Portando il boss nel tunnel senza uscita tipico della depressione: Giuseppe Pelle, uscito dalla clinica, ha assunto il comando della cosca operante in San Luca, Bovalino e comuni limitrofi, con interessi sull’intero territorio nazionale.

Ora lo «stakanovista della ’ndrangheta» potrà iniziare a deprimersi davvero, nuovamente in carcere, nuovamente lontano dai suoi affetti. L’unico “bellu” film che potrà vedere, persino in blue-ray, tanto è stato il successo del film uscito nel 1999, sarà quello del finto boss – vero depresso Paul Vitti. E magari capire che le crisi di panico improvvise di De Niro continuano a funzionare perché, pur nella finzione cinematografica, sono vere. Ma, soprattutto, sono finalizzate a un’unica evasione: dalla realtà. [il futurista nr 33]


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