5, 6, 12, 19, 28, cinquina secca sulla ruota di San Francisco. 5 è l’ultimo iPhone, 6 è l’ultimo sistema operativo, 12 il giorno della presentazione, il 19 iOS 6 sarà reso disponibile e il 28 il nuovo smartphone Apple sarà in vendita in Italia. Fosse un gioco sarebbe pure divertente, ma se un oggetto è capace di spingere in alto il PIL[1] di un gigante economico come gli Stati Uniti, è cosa maledettamente seria. Va oltre la tecnologia e i lazzi sul bello/brutto, rivoluzionario/conservatore, leggero/stretto/lungo, meglio Android o meglio la Mela. Piaccia o no, l’ecosistema dei dispositivi mobili Apple finora si è dimostrato vincente sulle scelte frammentarie e talvolta confuse della concorrenza. Sono tutte multinazionali, si riforniscono di componenti dagli stessi fornitori ma una strategia vince e le altre arrancano.
Tim Cook allo Yerba Buena di San Francisco con iPhone 5
In fondo ieri a San Francisco la vera notizia non è stata iPhone 5 o iOS 6, bensì la constatazione che Steve Jobs ha costruito un giocattolo che funziona anche senza il guru. Tim Cook non avrà il carisma di Jobs, anche se ieri sul palco dello Yerba Buena era vestito come il predecessore e aveva lo stesso aspetto smunto e ascetico. The show must go on e i numeri lo confermano, sciorinati tra battute sferzanti nei confronti dei competitor:
“iPad accounts for 91% of all the web traffic from tablets. I don’t know what these other tables are doing. They must be in warehouses or on store shelves, or maybe in someone’s drawer.”
ovvero
“il 91 per cento del traffico web generato da tablet è tramite iPad. Non so che proprio cosa ci fanno con gli altri tablet. Saranno rimasti nei magazzini o sugli scaffali dei negozi, o forse in qualche cassetto”.
Certo, ognuno porta numeri al suo mulino e non è detto che le percentuali siano proprio quelle, ma la prova del nove complessiva è la performance del titolo in Borsa.
Non è un solo prodotto Apple a tirare ma tutto il paniere, dai dispositivi mobili ai desktop, ai notebook, agli scatolotti per la Tv. E poi il back office delle applicazioni, dei 380 Apple Store di mura e mattoni sparsi nel mondo e dei negozi virtuali che macinano miliardi di contatti, download, acquisti. Luoghi in continuo aggiornamento e restyling, in grado di sfornare novità, software, musica, film come una fabbrica di San Pietro.
No, non è rivoluzionario in sé, iPhone 5, ma le rivoluzioni – si sa – non si concludono con la presa della Bastiglia. L’importante è che durino.
PS. Leggerete tutto e il contrario di tutto, sul nuovo iPhone e sul sistema operativo iOS 6. Caratteristiche, funzioni, specifiche tecniche sono comunque sulle pagine ufficiali appena predisposte da Apple, cioè qui. Le fonti primarie sono sempre quelle più attendibili. I prezzi ufficiali per l’Italia non sono ancora confermati, dunque è inutile dare cifre a casaccio. Tra le recensioni, consiglio quella di Manolo D’Agostino su Tom’s Hardware.
PPS. Apple conferma la sua indole taccagna: l’adattatore per collegare iPhone 5 agli accessori di cui si è già in possesso non sarà incluso nella confezione e dovrà essere acquistato a parte. Costerà 29 euro, cifra spropositata. Una caduta di stile intollerabile.
[1] Secondo una stima del capo economista di JP Morgan, Michael Feroli, il nuovo iPhone aiuterà la crescita americana, spingendo il PIL fra lo 0,25% e lo 0,50% nel quarto trimestre. Con circa 8 milioni di telefoni venduti nell’ultimo trimestre 2012, l’economia Usa guadagnerebbe 3,2 miliardi di dollari.