Dicono:
la colpa è delle donne perché mettono la mini,
la colpa è delle donne perché bevono alcolici come gli uomini,
la colpa è delle donne perché pretendono di uscire la notte,
la colpa è delle donne perché non sono illibate,
la colpa è delle donne perché provocano,
la colpa è delle donne perché sono troppo libere.
La colpa è nostra.
Poi, prendi un treno qualsiasi, di giorno (primo pomeriggio), tratta Livorno-Pisa, per andare all’università. E vieni stuprata (il vagone era deserto). Esiste anche un video che ha ripreso la scena terribile con carnefice-vittima.
E’ una notizia di pochi giorni fa. Non ne ho scritto subito, perché volevo leggere i commenti “illuminati” nel web (soprattutto Facebook). E, visto che molti uomini mi dicono che sono “faziosa” – sempre a parlare di donne, sempre a difendere le donne – mi sono soffermata sui commenti maschili. Mi pare giusto.
Ho riscontrato tre tipologie di commenti maschili: quelli che danno la colpa allo stupratore solo in quanto nero-senegalese-immigrato-irregolare (gli stereotipi tornano comodo agli uomini bianchi-occidentali-regolari), quelli che esprimono sostegno alla ragazza e quelli (troppi) in cerca del solito “giustificazionismo” del “se l’è cercata“.
Qui però era più difficile arrampicarsi sugli specchi per ricondurre la colpa alla vittima di stupro (passata ai raggi x e soppesata).
Aveva la mini di pelle nera, scollatura, calze a rete, tacchi a spillo, qualche borchia? Ah no, aveva un vestito estivo “normalissimo”.
Aveva bevuto alcolici? Ah no, non tornava da un rave party, ma stava andando all’università.
Aveva abbordato l’uomo? Aveva espresso la volontà di avere rapporti sessuali con l’uomo? Ah no, nel video si vede che cerca di resistere e scappare.
Però. Un momento. Il vagone era VUOTO. E qui scatta il “se l’è cercata“.
Una donna non si deve sedere in un vagone vuoto. Non esiste proprio.
Una donna deve sapere quando uscire di casa, come vestirsi, chi o cosa guardare, dove andare, quali mezzi di trasporto prendere e con quali modalità-caratteristiche-misure di sicurezza. Deve sapere che non può fare come le pare, andare dove le pare, sedersi dove le pare, camminare dove le pare. Una donna non è un uomo. Se pretendi di fare cose normali, come un uomo, te la cerchi.
Ecco.
Io ho pensato molto a quella ragazza, ora sparita nel nulla, immersa probabilmente in un calvario fisico e psicologico terribile. Ho pensato a lei, perché rivedevo me, quando da ventenne prendevo il treno per andare all’università a Pisa (anche se poi mi sono laureata a Firenze). C’erano giorni in cui cercavo vagoni vuoti dove ripetere le mie lezioni in tutta calma, lontana dalle risate di amici e amiche, nella speranza di poter ripassare qualcosa prima di un esame. Oppure c’erano giorni estivi in cui faceva molto caldo e cercavo vagoni vuoti per farmi un sonnellino di pochi minuti prima di arrivare a destinazione. Se fosse capitato a me? Semplice. Me la sarei cercata.
Insomma, tutte ce la cerchiamo. Cosa? La toccata di culo. La mitica frase “abbona chissà cosa ti farei”. La molestia. E soprattutto la violenza.
Torna molto bene questa soluzione del “se l’è cercata”. Torna benissimo perché lava via ogni forma di responsabilità del mondo maschile. Basta puntualizzare. Ecco la formula magica di molti-troppi uomini (non tutti, ma molti-troppi): “io non sono certo uno stupratore, io non mi vergogno per azioni altrui, io non sono così, non sono fatti miei e… lei se l’è cercata”.
Finché non capita a vostra sorella, a vostra moglie, alla vostra fidanzata, ad una vostra amica.
Anche a loro direste: “te la sei cercata” ?
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