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Esportazioni vs. rigore
È al presente, però, che si guarda con maggiore apprensione. Perché a leggere le considerazioni della Bundesbank si scopre come siano le tensioni internazionali le più probabili ragioni di un tale rallentamento. Medio Oriente, certo, ma soprattutto Ucraina: a Berlino si teme che le sanzioni facciano arretrare le esportazioni verso la Russia di circa il 10%, che altrimenti potrebbero essere quantificate in una perdita di quattro miliardi di fatturato, considerando poi che 300 mila posti di lavoro dipendono dai rapporti commerciali con Mosca, come ha sottolineato il responsabile per l'economia estera dell'associazione delle camere di commercio e dell'industria tedesche, Volker Treier, in un'intervista. Di per sé il lavoro non rappresenta un problema esiziale. Sono mesi che (dati Eurostat) il tasso di disoccupazione è più o meno stabile al 5%, ma il ridimensionamento delle esportazioni – qualora i timori dovessero trovare conferma – indurrebbero a ripensare il proprio modello economico. Ma in questo senso le politiche che il governo di Angela Merkel ha imposto anche in sede comunitaria riflettono le decisioni interne, dunque il principale fattore di crescita di questi anni – le esportazioni –, se messe a rischio, costituiscono un freno per l'economia. Ricorda Giuseppe Sarcina sul Corriere della Sera che la Germania, da sola, produce il 29% della ricchezza totale nella zona euro. Il che significa, in altri termini, che vale sempre il detto: se Berlino ha il raffreddore, l'Europa rischia la polmonite.
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