Magazine Economia
di Paolo Cardenà- Gli eventi che si susseguono nel contesto europeo continuano a ricordarci il fallimento dell’intera nomenclatura politica europea, incapace di produrre soluzioni ad una crisi che sembra sempre più incontrollabile. Continuiamo ad assistere alla contrapposizione di veti tra i vari stati a difesa delle proprie posizioni e delle rispettive logiche, che non fanno altro che accelerare l’esito del disastro di cui tutti, ma proprio tutti, saremo vittime.
Le austere politiche di rigore introdotte pressoché in tutti gli stati dell'eurozona, se da un lato hanno determinato un repentino deterioramento delle aspettative economiche in tutta l'area (seppur con le dovute distinzioni ), dall'altro hanno avuto come effetto l'affermarsi di ideologie contrarie all’unione monetaria e in un certo qual modo, antisistemiche. Ne costituisce un esempio tangibile la Grecia che, nell’impossibilità di formare un nuovo governo,domani sarà nuovamente chiamata alle urne per eleggere una nuova rappresentanza parlamentare; con la speranza che i risultati elettorali consentano di approdare ad una maggioranza idonea a sostenere un nuovo governo. In tal senso, il voto greco, rappresenterà un vero e proprio referendum dal cui risultato, con ogni probabilità, dipenderà la permanenza o meno del paese ellenico nella moneta unica. Quindi, mentre le varie banche di investimento, istituzioni finanziarie e autorità europee stanno cercando di immaginare i possibili scenari e le relative conseguenze nel caso di un uscita dalla Grecia dall’Euro, la moneta unica rischia di naufragare miseramente, così come il sogno (o l’utopia) di una’ Europa unita. L'euro, almeno fino a questo momento, ha potuto godere anche della credibilità derivante dell’irreversibilità del processo di unificazione monetaria. Tanto è vero che nei trattati non sono previsti dei protocolli che disciplinano l’eventuale uscita di un paese membro; tantomeno l’espulsione. L'eventuale uscita dello stato ellenico costituirebbe un precedente devastante per la sopravvivenza della moneta unica. I mercati percepirebbero immediatamente la caduta del baluardo dell’irreversibilità del processo di unificazione monetaria e di conseguenza sarebbero meno disposti a concedere credito ai paesi più vulnerabili. Eventualmente, nel farlo, esigeranno un maggior premio di rischio che vanificherà le politiche di riequilibrio di bilancio adottate, compromettendo così la tenuta dei conti dei singoli paesi. Se la Grecia dovesse ritornare alla dracma, lo farà ovviamente ripudiando il debito pubblico, con conseguenti perdite in seno alle banche e alle istituzioni europee che hanno in portafoglio titoli di stato ellenici e indebolendo ulteriormente le già fragili fondamenta delle banche europee. Queste, a quel punto, dovranno essere sostenute e ricapitalizzate attraverso interventi statali che, allo stato attuale, sembrano quanto mai inimmaginabili, stando il deteriorarsi delle condizioni di sostenibilità delle finanze pubbliche negli stati più vulnerabili. L'uscita della Grecia dalla moneta unica accelererà la fuga di capitali nei paesi mediterranei. Questa tendenza potrebbe investire in maniera impetuosa anche l’Italia, prosciugando il sistema bancario. La BCE si troverebbe a contrastare questo fenomeno adottando misure non convenzionali, sostenendo così un sistema che sarebbe comunque destinato a crollare in poco tempo. Per tentare di scongiurare questa catastrofe, che sancirebbe comunque la fine della moneta unica, assume particolare importanza la costituzione immediata di un fondo salva depositi a livello europeo; la cui garanzia non potrebbe comunque essere posta dall'impegno dei singoli paesi, stando la fragilità delle finanze pubbliche e quindi l'impossibilità di esprimere una garanzia privilegiata e credibile per i depositi bancari.