Perché l’Italia non cresce? Una volta si diceva “la mucca non da più latte“. Era la fine degli anni Sessanta, i capitali scappavano, gli imprenditori non investivano. A cinquant’anni anni di distanza la metafora sembra tornata di moda. L’ espressione, oggi come allora, rende bene l’ idea di una economia priva di vitalità, spossata, imprenditorialmente anoressica. La fotografia del 2014 diramata dall’ Istat la scorsa settimana racconta di una economia con i freni tirati, nella quale la domanda interna non riesce a compensare la caduta delle esportazioni.
Quali sono le cause del malessere? Perche’ la macchina produttiva ha il fiato cosi’ corto? La malattia italiana ha un nome preciso: si chiama sfiducia. E a testimoniarlo non sono solo le ultime rilevazioni che segnalano anche in settembre un peggioramento del clima di opinioni degli imprenditori. Puo’ sorprendere, ma economisti di destra e di sinistra non divergono nell’analisi dei fattori che sono alla base della sfiducia: mercati troppo rigidi, poca flessibilita’ del lavoro, un eccesso di spesa pubblica corrente, troppe tasse. Non si potrebbe proporre per esempio una riduzione di 10 punti della pressione fiscale nei prossimi cinque anni accompagnata da una dose massiccia di flessibilità per non alimentare inflazione? Oppure una modulazione con conseguente riduzione dei costi dell’apparato burocratico? Il paradosso e’ che il consenso che caratterizza la diagnosi del male non si traduce in altrettante terapie. E qui, come in altri Paesi europei, il discorso diventa politico. Questo moltiplicarsi di tavoli, sul lavoro, il fisco e quant’ altro non serve a nulla. La verita’ e’ che la coalizione piu’ che di governo e’ di blocco; gli ambientalisti bloccano le opere pubbliche, i sindacati impediscono la riduzione della spesa pubblica corrente, il patto di Stabilità che sarebbe meglio chiamarlo “Patto di Stupidità” blocca i Comuni. Tutti insomma sanno che cosa si dovrebbe fare, ma nessuno lo fa.
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