Mentre scrivo mi trovo nel giardino di casa. Un giardinetto di pochi metri quadri, riempito di qualche pianta del tipo “arancino cinese”, melograno, una piccola palma al centro, qualche fragola... E poi fiori di vario genere. La natura mi è sempre piaciuta, anche perchè ci sono cresciuto. Da bambino, io e i miei amici avevamo fatto degli alberi e dei fiori che riempivano il quartiere, il nostro habitat di gioco. Quando i miei non potevano controllarmi, mi portavano a casa di nonna. Una casa circondata dal verde, con 3 ettari tra alberi di olive e viti, e poi piante di kiwi, piantagioni di pomodori, zucchine. E quando non avevo voglia di andare a scuola mi inventavo un presunto mal di pancia, una finta febbre. Cose che fanno tutti i bambini di questo mondo. I miei a volte fingevano di crederci, altre volte no e quando a casa c'era solo papà perchè mamma era andata a lavoro mio padre diceva “Va bene, oggi a scuola non ci vai, ma domani...”. Lascio immaginare a voi la fine del discorso. E allora, pur di non farci rimanere a casa (io ho un fratello. Allora aveva pochi anni) ci portava in una località immersa nella natura, chiamata “Fontana del Prato”. Qui pullulano castagni e vari tipi di alberi secolari. Durante queste “gite improvvisate”, mio padre diceva (e dice ancora oggi): << Se queste piante potessero parlare, quante cose ci potrebbero raccontare >>. Questa frase, lo devo ammettere, non l'ho mai cancellata, ma neanche l'ho tenuta mai in considerazione più di tanto. Mi è tornata in mente qualche giorno fa, quando la notizia di alcuni incendi appiccati da piromani, in varie parti d'Italia, è andata a incrociarsi con i ricordi della mia infanzia. Da questo incrocio è maturato nella mia mente il pensiero di cosa sarebbe potuta essere la mia vita da bambino se un incendio avesse distrutto tutto il verde del quartiere. Se la natura potesse parlare il nostro linguaggio, io parlerei con il castagno che fiancheggia la casa di G.M. e gli chiederei cosa pensava di noi, quando ci vedeva la mattina presto con cesti di vimini e buste di plastica a raccogliere i suoi frutti, prendendo i ricci caduti per terra e aprendoli con i piedi. Il castagno apriva (e apre ancora oggi) la zona delle campagne del quartiere.Di queste campagne,una piccola porzione,quella del castagno e delle piante vicine, era la nostra zona di svago. Era il nostro “bosco”. Ora, sempre immaginando un ipotetico discorso tra me e il castagno, cosa avrebbe detto di noi la sera tardi quando ci vedeva con i barattoli vuoti pronti a imprigionare le lucciole oppure correre per nascondersi mentre si giocava a nascondino? Probabilmente il castagno mi risponderebbe come i nostri genitori, cioè che quando eravamo piccoli, il quartiere brulicava di vita, grazie alle nostri voci e ai nostri giochi. Oppure, potrebbe chiederci se le castagne che abbiamo raccolto sotto le sue foglie le abbiamo mangiate, se ci sono piaciute. Quanti fatti ci potrebbe riportare alla memoria, se solo avesse il dono della parola.
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