Se le diseguaglianze erano meno profonde nel Medioevo...
Creato il 30 maggio 2014 da Lostilelibero
I duemila italiani più facoltosi posseggono
un patrimonio complessivo superiore a 169 miliardi di euro (senza computare il
valore degli immobili) ovvero, spiega l’istituto di rilevazione: lo 0,003% dei
cittadini italiani dispone di una ricchezza pari a quella del 4,5% della
popolazione totale. L’impietosa istantanea sull’andamento socio-economico,
oltre a sancire il completo fallimento delle moderne idee democratico-liberiste,
segnala una crescente, e forse insanabile, diseguaglianza sociale.
L’allargamento del diaframma tra ricchi e poveri probabilmente mai,
nell’intera storia documentabile dell’occidente, aveva raggiunto una tale differenza, benché magari, in epoche remote, tale difformità fosse
maggiormente pubblicizzata (ma già all’epoca non si doveva propagandare il
trionfo della democrazia).
Sgombrando il campo dalle superstizioni
militanti e dai vizi del convincimento per ragioni che attengono alla più
stretta convenienza, è ormai un dato di fatto che, tra i tanto vituperati
imparruccati dell’ancien régime e gli
strati più umili di quella stessa società, non vi erano diseguaglianze così marcate.
E non potevano nemmeno potenzialmente sussistere, dacché a quell’epoca la
ricchezza era spesso misurata sul possesso fondiario (la gleba). Un’unità di
misura finita, materica, palpabile, e non, come la ricchezza immateriale e
spesso semplicemente virtuale di oggi, infinita, slacciata da ogni
fenomenologia sensoriale, fisiologicamente portata ad un accumulo crescente,
algebrico, indefinito. Non esistono rilevazioni, ovviamente, sull’andamento
della ricchezza pro capite per il medioevo. Coloro che, in tal senso, volessero
prodursi in un’analisi di tali parametri dimostrerebbero una cretineria
sconfinata. Eppure qualche vaga stima e qualche sommaria indicazione, almeno
per le epoche a ridosso delle “gloriose Rivoluzioni”, confermerebbero come le
diseguaglianze economiche prima dell’avvento della modernità latu sensu, fossero meno apprezzabili
rispetto a quelle raccontate dal Censis di oggi (beninteso, ci stiamo riferendo
ad un’epoca in cui le condizioni di vita erano molto più dure e il benessere,
come lo conosciamo noi, una chimera fuori dalla portata dello stesso
desiderio). Le tabelle redatte dall’economista e statista inglese Gregory King,
sull’andamento della società inglese nel 1688, sotto il reame di Giacomo II
Stuart, dimostrano come allora le divisioni sociali non fossero semplicemente
una questione di reddito o di patrimonio (le differenze, spesso maggiormente
percepite rispetto ad oggi, c’erano, ma per ragioni legate più ai benefici di
retaggio feudale, alle sperequazioni dei diritti e al prestigio del lignaggio).
Entrando nello specifico delle sue “tavole
dei diritti e delle spese delle diverse famiglie inglesi, anno 1688”
scopriamo che le 160 famiglie di lord secolari – il vertice più ricco della
piramide sociale a quell’epoca - (6.400 persone in tutto) percepivano un
reddito annuale pro capite di 80 pound (65 pound per i lord ecclesiastici, 50
p. per i cavalieri, 32 p. per i gentleman e per i commercianti importanti, 13
p. e 10 p. per i proprietari terrieri – importanti e minori –, 9 p. per gli
artigiani). Le parti sociali più disagiate e povere potevano invece, sempre
prestando ascolto ai dati di King, contare su un reddito pro capite di 7 pound
per i marinai e i pescatori, 4 pound per i lavoratori e servitori, 7 p. per i
soldati semplici e 2 p. per i cottager e i poveri. Un povero quindi, nel 1688,
poteva disporre di un reddito annuo medio pro capite inferiore di 40 volte
rispetto alle sfere più ricche della società inglese, i lord secolari. Oggi,
senza bisogno di scartabellare gli studi del Censis o dell’Istat, possiamo fare
i conti, ognuno col proprio buonsenso, su quali siano invece i rapporti di forza
economici tra i “ricchi” e i “non ricchi”. Il più pagato top manager d’Italia,
Marchionne (reddito 7,5 milioni di euro), percepisce quindi circa 300 volte di
più di un cittadino della classe media (20.000/25.000 euro annui). Le cose coi
Montezemolo, i Benetton, i Briatore ecc…. non sono molto diverse. E non lo sono
nemmeno coi Fazio e i Santoro di turno, coi calciatori di serie A e, più
genericamente, con l’intero star system televisivo. Le differenze “di censo”
tra l’”aristocrazia borghese del merito”,
per apostrofarla con Stirner (detto fuor di metafora: un’unità di misura
inverificabile, che giustifica il profitto di chi l’ha fatto e ammalia
nell’onestà rassicurando chi quel profitto non ce l’ha), e i poveri
propriamente detti o la classe media, sono oggi, in relazione, infinitamente
più evidenti rispetto al rapporto tra la “parassitaria” aristocrazia di spada e
le classi sociali più deboli nell’ancien
régime. Ma là eravamo all’alba di Rivoluzioni che cambiarono una storia che
oggi ci consente di metabolizzarne le sperequate differenze senza usare la
violenza. Noi ne cogliamo i frutti solo ora, quelli del benessere
accondiscendente e della mollezza sua ancella.
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