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Se le formiche, nel loro piccolo, non s’incazzano

Creato il 07 settembre 2014 da Albertocapece

formica-ditoAnna Lombroso per il Simplicissimus

Il presidente di Confindustria, che insieme a Renzi ha presenziato all’inaugurazione del nuovo stabilimento del gruppo Bonomi a Brescia, è compiaciuto:  “Con il premier”, ha detto, ”abbiamo lo stesso obiettivo: tirar fuori il Paese da questa spirale. Magari le soluzioni possono anche essere diverse perché nei momenti di grande transizione nessuno ha la verità in tasca, ma una costante ci accomuna: cuore, passione e determinazione”.

Tutti d’accordo, tutti sulla stessa barca, tutti mobilitati in nome dell’interesse generale, tutti motivati a farci “credere nel tricolore”? E tutti persuasi che ci crediamo?qualche incrinatura nel ritratto di Matteo Gray, dietro al quale si intravvedono le fattezze dei soliti padroni, c’è magari, ma ad intermittenza, le obiezioni sono timide, l’opposizione è in letargo: a forza di essere costruttiva con il nemico ha distrutto se stessa.

Succedeva di sicuro anche nell’età dell’oro di Pericle, che se uno si permetteva di criticare il governo di Atene e le misure disposte dal tiranno, venisse subito, sia pure nella disuguaglianza di responsabilità, mezzi, strumenti, compresi quelli del ricatto, sollecitato a esprimere una contromisura, un’alternativa, pena la condanna al disfattismo, all’accidiosa e inetta impotenza, alla frustrazione degli esclusi loro malgrado.

E figuriamoci se non succede oggi che anche il più modesto blogger, a fronte del poderoso dispiegamento di un incondizionato consenso e di un entusiasta assoggettamento di media a opinione pubblica al premier e alla sua logica tutta tatcheriana dell’impossibilità di opporre qualsiasi pensiero “altro” rispetto alla necessità, all’austerità sia pure espansiva, alle forbici, al commissariamento dall’alto, da dentro e da fuori i confini, viene richiamato all’ordine e richiesto di esprimere in tempo reale opzioni e soluzioni differenti ma immediatamente praticabili, operative, realistiche, con la pretesa nemmeno tanto sommessa che solo così si può rivendicare diritto di opinione, autonomia di giudizio, che di ascolto e partecipazione alle scelte, per legge e potenza di regime, nemmeno si parla più.

Insomma tra le tante facoltà negate al primo posto si colloca quella di opporsi, di giudicare, magari con la speranza di contribuire a far circolare idee che possano mettere in crisi l’egemonia culturale del neoliberismo, aprendo la via al progetto di una società egualitaria, inclusiva e sostenibile, mica la rivoluzione tutta e subito. E certo era quasi inevitabile questo affidarsi alla corrente e al vento che soffia sempre nella direzione dell’autoritarismo, dello sfruttamento, della limitazione di democrazia, se da almeno 40 anni condanna alla minorità quando non all’esclusione chi pensa diversamente, grazie ai potenti mezzi della comunicazione, della propaganda, dell’istruzione, a cominciare dalla manualistica universitaria, economica, storica, statistica, fino a quelli disposti dall’obbligo pragmatico, quello sì, alla rinuncia di sicurezze, garanzie, diritti.

Ma senza nessuna ambizione di opporre al forza delle idee agli interessi costituiti, pur consapevoli che mai come ora da cagnolini pavloviani, inclini al conformismo, per modello culturale e di consumo, siamo stati retrocessi a cavie che si arrampicano e scivolano giù dalle scalette di una gabbia di mutui, debiti, perdita di beni e garanzie,  pur consci che così va il mondo e esiste una dotta pubblicistica scientifica che confermerebbe la tendenza ad adeguarsi a convinzioni comuni della quale ci persuade il potere vigente, anche se sospettiamo siano errate e controproducenti, eppure qualche principio, qualche orientamento  dei tanti scaturiti da menti e intelligenze del passato potrebbe fare da stella polare anche oggi. Per non parlare del normale buonsenso che, sia pure ridotto al lumicino dall’egemonia dell’ideologia mainstream, sembra ogni tanto palesarsi perfino tra economisti pentiti, nostalgici del marxismo, innamorati  disincantati della democrazia, colpiti dal sospetto che stiamo curando la malattia usando i veleni che l’hanno prodotta.

I contesti su cui esercitarsi sono poi gli stessi dell’età di Pericle: la centralità del lavoro e il ripristino delle c0nquiste e delle condizioni di garanzia che ne fanno il perno della dignità e dell’esprimersi dell’individuo, la lotta alle disuguaglianze, non solo nella loro qualità di fattori di iniquità sociale, ma anche per il loro carattere di agenti  di distorsioni rispetto all’efficienza economica, alla competitività, allo sviluppo omogeneo del Paese, riappropriazione della sovranità statale in materia economica, la cui rinuncia si fonda su trattati tra nazioni, impari e difformi, non sull’appartenenza e adesione a un disegno di unità politica e sociale. Grazie alla quale, peraltro, lo Stato  potrebbe riassumere un ruolo di motore di occupazione  e di interventi volti all’interesse generale: tutela del territorio, manutenzione dei beni culturali, salvaguardia del paesaggio, al posto di grandi opere che si sono rivelate utili solo nell’alimentare interessi particolari, tramite corruzione, malaffare, concentrazione nelle mani di poche cordate inviolabili. E poi contrasto alla supremazia intoccabile delle “rendite”, convertite in egemonia degli azionariati, al gioco d’azzardo finanziario, che si nutrono grazie al crimine: evasione, corruzione, riciclaggio e che si mantengono grazie a una cornici di leggi che si arricchiscono sempre di più proprio come loro, mediante “semplificazioni” che annullano controlli e vigilanza, attraverso la limitazione di garanzie e diritti dei lavoratori, grazie alla riduzione dello stato sociale che estende un mercato di servizi messi in liquidazione e offerti a prezzi stracciati. Ma anche in virtù della tenace difesa di privilegi castali, a cominciare dall’inamovibilità, dall’impunità, dal consolidamento dei meccanismi di nomina riservati al ceto politico, in dileggio dei pronunciamenti della Corte e del popolo, in aperta derisione di referendum in materia di finanziamento, come di beni comuni tra i quali la Carta occupa il primo posto.

Spetta e compete a tutti immaginare un’altra politica, un’altra economia, un’altra società. E aspirarvi. E volerle. E renderla più reali del tremendo e grigio incubo che ci stanno facendo sognare.


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