Sì, se le religioni re-imparassero la
loro originaria - e peculiare - funzione di story teller, di
narratrici di storie e di racconti di "fondazione", forse la storia
del mondo oggi sarebbe diversa. Qualcuno ha scritto che non può esserci pace
tra i popoli e tra le civiltà senza pace tra le religioni: le vicende recenti,
a volte drammatiche, pur interpretabili in parte con processi di adulterazione
delle religioni stesse, sembrano in realtà, confermare quella tesi. E allora,
sì, se le religioni fossero capaci di riprendere il loro compito originario,
forse il destino del mondo globalizzato potrebbe essere diverso, forse potrebbe ridursi in parte il potenziale di violenza che avvelena i rapporti
umani.
Ogni cultura umana, da quelle più
antiche ad altre più recenti, affonda le sue radici in alcuni racconti
sulle origini del mondo e sull'esistenza umana che ne illuminano il senso e la
direzione. E, in genere, quei racconti sono stati sempre elaborati nei luoghi
di culto, come racconti sulle origini di ciò che le comunità sono. Cosa
sono i grandi testi religiosi dell'antichità, se non primariamente racconti?
Come ha scritto Harold Bloom, anche la Bibbia, prima di ogni altra cosa,
racconta delle storie. Storie anche plurali e molto diverse e talora
contrastanti tra loro.
Gli uomini sono sempre alla ricerca
di quel “silenzio originario” da cui tutto si origina, da cui ogni melodia
della vita si genera. In realtà la caratteristica che rende l'uomo unico nel
panorama della vita sul nostro pianeta, è proprio quella di essere uno story
teller, un narratore; e ovviamente, in misura ancor maggiore, un consumatore
appassionato di storie. Storie che non si stanca mai di raccontare, di
ascoltare e riascoltare. Come i bimbi, che non sono mai sazi, incantati
nell'ascoltare, anche se si tratta sempre della stessa identica storia.
Come ha scritto qualcuno, non
esiste se non ciò che è raccontato. Ecco perché narrare, in un certo
senso, è anche generare. Perciò le
religioni, che hanno a che fare con le origini delle comunità umane, con
il vivere e con il morire, non potevano non assumere come funzione primaria
quella del narrare storie, storie sacre, belle storie, alla comunità riunita
intorno al "fuoco" del culto, e del mistero della vita. In realtà,
cosa sono i riti religiosi se non memoria, rappresentazioni, memoriali,
e un ripetuto e interminabile raccontare, con un finale sempre aperto
all'attesa?
Beh, reimparare quel
"mestiere" e riportarlo in primo piano potrebbe essere un modo per
liberare le religioni da quella pulsione alla violenza che nel corso del tempo
si è insinuata nelle loro vene e poi nelle arterie dell'umanità, in forme
palesi o subdole. È quello che è avvenuto quando i "sacri" narratori
hanno marginalizzato quel loro compito primario e si sono lasciati trascinare
in derive dottrinali, trasformando le loro storie in
"catechismi", fino ad
annullare il potenziale di sogno e di fascinazione che stava
dentro quelle storie. È avvenuto anche quando hanno cominciato a preoccuparsi
di stabilire gerarchie e poteri. Quando
hanno perseguito il controllo sociale. Quando hanno preferito concentrarsi su
istruzioni, norme, divieti, disposizioni, direttive e compiti da porre sulle
spalle degli altri. Quando hanno cominciato a preferire seguaci ed esecutori
obbedienti, invece che compagni di cammino. Quando addirittura si
sono lasciati drogare dal "delirio sacrificale" per cui,
sull'altare del loro Dio o del loro credo, tutto e tutti potevano bruciare ed
essere immolati.
Allora è accaduto anche che non sono
stati più capaci di raccontare qualcosa che affascinasse. Che facesse
immaginare e sognare. Niente che risvegliasse il desiderio di quello che
avrebbe potuto essere! Allora, sono apparsi senza una “visione” condivisibile!
E, quando hanno continuato ad asserire di averne una, non mostravano più di
crederci davvero.
Senza la capacità di narrare, anche la
verità è diventata solo un'arma. È il caso di ricordare che il
primato delle teorie "vere" e delle concezioni "esatte" ha
prodotto già troppi danni nella storia umana, passata e recente, e non solo nella storia religiosa;
perché in realtà esse hanno la segreta tendenza, a volte inconsapevole, a mettere
tutte le altre voci a tacere. Se la mia parola è l'unica vera e
la tua è falsa, tu non hai più nulla da dire! Devi solo tacere! È qui la radice
della violenza!
Invece, è proprio dell'atteggiamento
del narrare, la capacità di accogliere "altri" racconti, altre
storie, anche se diversi e contrari. È tipico del "racconto" non
imporsi ma proporsi. Ecco perché il saper narrare, si nutre del saper
ascoltare. Non a caso quando si immagina la situazione ideale del
raccontare ci si rappresenta, da sempre, il raccogliersi intorno a quei fuochi
che illuminano la notte e permettono il confronto, quasi come un rispecchiarsi
di volti. Intorno a quei "fuochi", tutti sono ascoltatori e narratori, allo stesso tempo. Educarsi ad accogliere un racconto - che per sua natura viene
"dall'altro" - è accettare di mettere in crisi la propria tendenza
naturale a guardare il mondo a partire da sé.
Quando le religioni, tentate dalla volontà
di potenza, hanno ritenuto che il dire agli altri cosa fare o stilare
elenchi di doveri o di verità, fossero preferibili al raccontare a quegli altri
le loro storie, hanno mostrato di dimenticare il segreto conservato
nelle loro origini, e cioè la consapevolezza che nessuna teoria, nessuna idea,
nessun sistema filosofico o dottrinale vale una storia ben raccontata
(Hannah Arendt). Perciò hanno perso anche la capacità di partecipare pienamente
al "gioco" e allo scambio dei "segni", in cui entrano tutti
i vari racconti umani e non solo quelli religiosi. Perciò hanno perso anche
l'abilità, che avevano alle origini, di farsi accogliere e riconoscere come testimoni di racconti che incantano la
vita.
Infatti, all'avventura umana sono
necessarie le storie: sia quelle frutto di ricordi, di fantasie e di
immaginazione, sia quelle frutto di creatività, di amore del rischio e
dell’avventura. Sono necessarie le storie costruite dalle scienze e dalla
sapienza, come quelle custodite dalle fedi o depositate nei sogni. Sono
necessarie le storie tramandate nei miti come anche quelle che raccontano di
rimpianti e di nostalgie incolmabili.
Sì, se le religioni re-imparassero a
raccontare, se tornassero a sedersi intorno ai fuochi degli umani, nel silenzio
del deserto e nel buio delle notti, lì dove è desiderabile, necessario e
possibile l'incrociarsi dei volti e la condivisione delle storie.....
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