Anna Lombroso per il Simplicissimus
Una volta il peggior ciarpame verbale sui cassintegrati sfaticati, sugli operai profittatori, sugli studenti parassiti, sulle femministe puttane quando non ninfomani, sui sindacalisti eversivi e comunque scrocconi, veniva vomitato dalle bocche oscene e biliose dei signori in paletot di cammello fermi sul marciapiede a guardar scorrere le nostre manifestazioni, intercalati dall’immancabile e irrinunciabile: andate a lavura’.
Poi, ma non è detto che sia stato un miglioramento, i toni si sono addolciti, la virulenza è stata addomesticata grazie ad alcune figure di spicco che stavano preparando le basi nazionali della lotta di classe alla rovescia, padroni contro lavoratori, padroni contro cittadini, padroni contro giovani. E’ stata l’età dell’oro dei Sacconi, degli Ichino, quella dello “siamo tutti sulla stessa barca”, quellia della modernità, della competitività, quella dell’egemonia del mercato, che è doveroso pagare a costo della rinuncia a garanzie, conquiste, diritti. Quella che “il vero problema è il debito pubblico”, quella che “la concertazione è un residuo ottocentesco” e adesso è venuto il tempo della condivisione come su Facebook, quella che “sono le pensioni a scavare voragini nel bilancio dello stato”, quella che “il privato è più efficiente”, quella che “le classi sociali non esistono più”, come d’altra parte “la destra e la sinistra”, così siamo tutti amici, come su Facebook..
Beh siamo tornati indietro. Stamattina senza paletot di cammello per via delle avverse condizioni climatiche a ripetere lo stesso mantra del ’68, del ’77, a dare voce alle vignette di Grosz, a articolare il bofonchiare di Marchionne, a interpretare l’avvocato che si fa una bella tirata di operai Fiat come fossero la magica polverina c’era il neo direttore dell’Unità. Era proprio lui quello che temerariamente si è rivolto a Landini ingiungendogli che “basta, è ora di rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare” mica fare i parassiti e i passatisti, e anche i fancazzisiti accusandolo nemmeno troppo obliquamente di essere un professionista del malcontento e del disfattismo, “proprio adesso, cito, che si intravvedono segni di ripresa dell’occupazione, sono stati ripristinati diritti e opportunità, grazie al Jobs Act e alle misure del governo Renzi”.
Per dovere di cronaca traggo dal profilo auto-redatto di Erasmo D’Angelis qualche breve nota biografica: Nei primi anni ’70 è stato tra i più attivi partecipanti al Movimento di Animazione Cristiana (MAC) di Formia. Laureatosi in Psicologia, ha collaborato come giornalista presso media quali Rai e il Manifesto. Attivo in Legambiente, ha organizzato la rassegna “Ecolavoro”. È inoltre promotore dei due Raduni internazionali degli Angeli del Fango (1996 e 2006).Nel 2000 e nel 2005 è stato eletto Consigliere Regionale della Toscana. Nel dicembre 2009 è stato nominato Presidente di nomina pubblica di Publiacqua, la più grande società mista pubblico-privata della Toscana che gestisce il servizio idrico integrato nella parte centrale della regione. Il 3 maggio 2013 viene nominato sottosegretario di Stato ai Trasporti nel governo Letta e dal luglio 2014 diventa coordinatore della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche.
Purtroppo in meno di un anno il coordinatore di Italiasicura, così si chiama l’organismo chiamato a prevenire, fronteggiare e risanare le patologie del nostro territorio, non avrà avuto modo di dimostrare la sua competenza, preparazione, efficienza, solerzia esperienza, ma è comprensibile che abbia lasciato quella che più che una poltrona possiamo definire “missione” di nome e di fatto, sia pure a malincuore, sia pure senza aver potuto dare prova della sua perizia, per dedicarsi a più alto incarico, la direzione dell’Unità fondata da Antonio Gramsci e affondata definitivamente dalla dirigenza del Partito della Nazione.
Non voglio sembrarvi misoneista. Ho gustato gli scritti di Shon Rethel sul rapporto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e in particolare quel suo divertissement sulla “filosofia del rotto”, ispirata da quel singolare approccio dei napoletani ai congegni della tecnica moderna, che anche lui definì “arte di arrangiarsi” , e sono consapevole che non ha rilevanza scientifica paragonare un operaio di altoforno a un giornalista, per quanto io ritenga che il primo faccia più fatica, sia pagato meno ma sicuramente ormai è più utile socialmente.
È che ormai a discettare di lavoro, a sentirsi moralmente incaricati di persuaderci della bontà di quel modello di nuova schiavitù al servizio dell’imperialismo finanziario e delle sue piramidi, sono soprattutto i nuovi, entusiastici e creativi adepti dell’arte di arrangiarsi, o forse di quella di Michelasso, più toscani che partenopei, tutti aderenti alla cupoletta renziana, e tutti caratterizzati da una totale estraneità al mondo reale, quello fatto di abbandono della ricerca di occupazione, di cartelle di Equitalia, di difficoltà di arrivare a fine mese e anche alla metà, di presidi padroni, di straordinari non pagati e delocalizzazioni a tradimento, di cassa integrazione e di un’unica certezza, quella della fatica, della scelta inumana tra posto di lavoro e cancro, quella del ricatto e dell’intimidazione come nuova frontiera della negoziazione tra le parti, quella della sospensione dei diritti, della compressione salariale, del maggiore controllo delle imprese sui dipendenti, compreso l’uso delle telecamere, che non sono quelle dei talkshow. Si vede che questa è la contemporanea “ filosofia del rotto”. Ed è proprio vero: ci hanno rotto e è ora di mandarli a lavorare.