se non sono i disperati

Creato il 06 aprile 2011 da Gaia

Nella grande confusione che circonda gli sbarchi a Lampedusa mi pare siamo tutti d’accordo sul fatto che tra i migranti ci sia, oltre a chi scappa dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione, anche chi potrebbe restare in patria, ma non vuole farlo perché non c’è lavoro, perché non gli piace, perché è curioso, e tutta una serie di motivi comprensibili ma non certo drammatici o assoluti. Questo post su Fortress Europe lo descrive bene.

E allora io mi pongo sempre le solite domande. In teoria, nessuno può limitare il movimento di nessuno, va bene. Tutti potrebbero andare dove gli pare, in teoria. E’ anche vero che le diseguaglianze di reddito abissali tra ricchi e poveri (paesi, classi sociali) vanno ridotte drasticamente prima di dire a qualcuno di stare lì dov’è.

In pratica, però, io sinceramente sono ancora confusa e perplessa sul come dovremmo accogliere questi giovani, e su cosa possiamo e non possiamo rifiutare o pretendere. Certo, non puoi lasciarli in mare o non dargli da mangiare, ovvio. Li devi accogliere. E poi? I cittadini dei paesi riceventi cosa devono fare e pensare, esattamente? I flussi sono massici, l’Europa è già sovraffollata, la disponibilità di manodopera a basso reddito non aiuta a mantenere le conquiste dei lavoratori europei, e anche se non è giusto colpevolizzare i lavoratori stranieri per questo, il problema c’è. E se non trovano il lavoro che cercano?

Una soluzione potrebbe essere liberalizzare talmente tanto i movimenti di persone, da non costringerle ad ammassarsi tutte a Lampedusa. Fortress Europe scrive: “Fossero arrivati in aereo direttamente a Parigi nemmeno ce ne saremmo accorti, e metà di loro sarebbero già tornati a casa. Per quello ripeto che in fondo non è un male che Lampedusa sia sovraffollata. Perché tutto questo ci pone delle questioni serie in modo esplosivo. Non limitiamoci a chiedere un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Perché tra sei mesi si ripresenterà di nuovo la stessa questione. Il punto è un altro. Ed è che il regime di criminalizzazione della libertà di circolazione deve cadere, esattamente come sono cadute le dittature del sud del Mediterraneo.”

Cosa succederebbe, a quel punto? All’areoporto di Parigi, alla città, al mercato del lavoro, alla società, al rapporto tra uomini e donne (non viaggiano allo stesso modo), agli equilibri demografici… qualcuno lo sa? Dire che tutto si risolve aprendo le frontiere senza limiti equivale a riporre fiducia assoluta nel libero mercato. Vero solo in teoria. In pratica, quando mai basta una deregolamentazione totale a risolvere un problema?

E soprattutto: abbiamo diritto noi cittadini europei di pretendere di avere voce in capitolo su questi flussi? O dobbiamo semplicemente aprire le frontiere e vedere cosa accade? L’immigrazione di massa, nel bene e nel male, è anche un’imposizione di gruppi di persone su altre che hanno costruito e gestito una terra, un paese, una città, in un certo modo. E’ giusto togliere a queste persone ogni diritto a regolare chi entra e chi esce, con tutte le conseguenze? Non lo so, ancora non lo so, ma mi sembra che finché non abbiamo risposto a questa domanda, continueremo ad andare avanti con isterie, sentimentalismi e cliché.


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