Dopo qualche anno arrivò anche una chiesa nuova di zecca, con auditorium, bar, campetto di calcio e tutti gli annessi e connessi del caso. Una di quelle chiese modernamente anni settanta, dalle forme strambe, tutte cemento e vetri colorati. Dietro l’altare, il mosaico in pietre bianche e nere di un enorme cristo col dito alzato e un fare vagamente minaccioso capace, ancora oggi, di risvegliare i ricordi della mia infanzia.
Le scuole elementari le ultimarono esattamente nel momento in cui cominciai la prima, e le medie appena finito il quinquennio.
Eravamo uno dei pochi quartieri di periferia ad avere anche un cinema, un bel cinema, con galleria e platea. Oggi ridotto a chiesa di una qualche intransigente religione filocristiana che tanto piace a chi viene da lontano.
Per comprare casa i miei si indebitarono con un mutuo di vent’anni e si portarono in casa mia nonna materna che contribuì per quel poco che poteva in cambio di un terzo della casa a suo nome. Diceva che era la sua assicurazione per non finire in qualche ospizio quando sarebbe diventata troppo vecchia. E vecchia lo diventò davvero; morì a novantasei anni dopo essere andata a fare la spesa da sola fin oltre i novanta.
Quando ci fu l’occasione di comprare un monolocale nello stesso pianerottolo, mia madre ci buttò dentro tutta la sua liquidazione d’impiegata e un altro po’ di cambiali. Io feci quello che poteva fare un ragazzo di diciannove anni: imbiancare, sistemare, restaurare, tappezzare, installare. Fu ciò che feci nell’anno che trascorse tra il mio diploma al liceo e i primi lavori seri. Un anno sabbatico passato a fare il muratore invece che a girare l’Europa in treno come i miei coetanei.
L’ultimo grande sacrificio in ordine di tempo è stato l’acquisto del terzo appartamento del pianerottolo. Due locali comprati a peso d’oro da una coppia di giovani stronzi che, nel giro di qualche anno, si sono ritrovati eredi da nonni e genitori di vari appartamenti e case di campagna.
Ci abbiamo buttato dentro tutto ciò che mio padre, commesso viaggiatore, ci aveva lasciato - una misera liquidazione - tutti i nostri risparmi e quelli di mia madre.
Come un vecchio emigrante ottocentesco ho pensato che così avremmo avuto a disposizione tre appartamenti da due locali disposti nello stesso pianerottolo dove, in futuro, avrei potuto sistemare i due figli e noi, vecchi genitori.
Mi rendo conto che è un un conto della serva e che forse i miei figli preferiranno andarsene chissà dove, magari il più lontano possibile dai genitori. Forse avrei potuto investire diversamente i pochi risparmi, magari se la situazione non cambia sarò costretto a vendere a pezzi la mia vita, forse, se mia nonna avesse avuto le ruote, poteva essere un tram...
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