I’m a survivor I’m not gon give up cantavano le Destiny’s Child. Era il 2001. Eravamo appena usciti dagli anni Novanta. E se siamo davvero sopravvissuti ai Novanta, di certo non ci arrenderemo adesso
Il passato è l’unica cosa che non puoi cambiare. Ma quando ti guardi indietro e rimetti a posto un po’ di pezzi, a posteriori, puoi renderti conto di molte cose. Alcune anche molto imbarazzanti.
Se facevi le gare ai palloni più grossi con le Big Babol o con il Cristal Ball;
se compravi il Cioé e imitavi Ambra Angiolini che cantava T’appartengo a Non é la Rai con le tue amiche;
se guardavi BimBumBam e Solletico, Amico mio e Willy il principe di Bell Air;
se collezionavi le manine appiccicose e i ciucci di plastica colorata nelle patatine;
se hai avuto un walkman e un Tamagotchi prima di un iPod;
se Beverly Hills 90210 e Dawson’s Creek e Baywatch hanno segnato la tua infanzia e la tua adolescenza…
se ascoltavi gli 883, le Spice Girls e avevi un poster di Titanic nell’armadio
Non temere! Anzi, fatti coraggio… puoi essere fiero/a di te. Nonostante tutto, siamo venuti su bene!
…non credo nelle divise né tanto meno negli abiti sacri che più di una volta furono pronti a benedire massacri , non credo ai fraterni abbracci che si confondon con le catene. Io credo soltanto che tra il male e il bene è più forte il bene!
Il fatto è che noi siamo una generazione di transito. Siamo stati cresciuti nel mondo ovattato delle certezze, delle pubblicità di (culi di) donne seminude su spiagge chilometriche al tramonto… Siamo cresciuti giocando per strada, con i compagnetti da chiamare al citofono per andare a fare giri in bicicletta intorno all’isolato (che se ci penso ora è veramente una cosa da cretini girare intorno all’isolato per ore con la bicicletta, deviando percorso solo per andare a bere alla fontana nella stradina accanto). Ci hanno raccontato la favola della principessa che aspetta sulla torre il principe azzurro, senza fare un bel niente se non tirarsela e spazzolarsi i capelli nell’attesa. Ci hanno raccontato la favola del posto fisso, delle ferie pagate e della pensione. E ci abbiamo creduto.
Ma poi siamo cresciuti. E ci siamo accorti che c’era una lieve discrepanza tra il mondo ovattato di Una mamma per amica e i nostri genitori che non sapevano davvero cosa stesse accadendo. Ci siamo accorte che quelle che se la tirano aspettando che passi un uomo le chiamano puttane e che il principe azzurro non esiste, e se esiste è gay (d’altronde quale uomo etero indosserebbe mai dei leggings celesti per invitarti ad uscire?). Ci siamo accorti che il lavoro è solo precario, sottopagato e flessibile, le ferie sono il periodo di magra tra un contratto e l’altro e la pensione è una cosa che riguarda solo i nonni.
Ma ci siamo trovati anche nel bel mezzo della rivoluzione digitale. Siamo la generazione “senza confini”. Ogni ostacolo è stato abbattuto, fisico o virtuale. Abbiamo imparato a usare i pc quando ancora girava Windows 95 e per giocare usavamo il GameBoy (che poi si chiamava Boy perchè le femmine non lo potevano usare?), ma oggi siamo abbastanza forti da competere con i nativi digitali. Abbiamo scoperto i social network poco a poco, e sappiamo ancora apprezzare una relazione “non virtuale”. E forse riusciamo a starcene un paio di giorni disconnessi senza problemi.
Siamo quelli che… l’Erasmus. Improvvisamente i confini sono scomparsi e abbiamo subito capito che potevamo andare ovunque. Tutto è diventato opportunità. Abbiamo amici sparsi per il mondo, conosciuti un po’ ovunque, che fanno i lavori più disparati. Anche se qualche volta ci prende quel vecchio mal di pancia, quella strana idea della stabilità, dei rapporti autentici, e della reticenza al troppo social. Abbiamo declinato il social in varie forme di adattamento e socialità nuove. A metà tra la nostalgia di ciò che non abbiamo mai vissuto e il desiderio di ciò che non vivremo mai. Una generazione di transito, che si sforza di stare dietro alla grande rivoluzione cercando di trascinarvi dentro ancora un po’ di umanità.
E’ sempre molto difficile raccontare qualcosa mentre sta accadendo, sicuramente più difficile che raccontarla da fuori, dal tempo del “tutto è compiuto”. Ma ci stiamo provando. E il racconto che ne viene fuori è quello di una generazione che ha barattato un po’ di ideali con l’opportunità reale di essere felici, da qualche parte nel mondo, a fare qualcosa che non avremmo mai creduto possibile quando ancora ascoltavamo Mikimix, non sapendo chi sarebbe diventato un giorno…