Il 15 maggio, Ankara ha ospitato il "Vertice trilaterale dei Balcani": a cui hanno partecipato il padrone di casa, il presidente Abdullah Gül; il presidente della Serbia, Tomislav Nikolic; i tre membri della presidenza collettiva della Bosnia Erzegovina, Bakir Izetbegović, Željko Komšić e Nebojša Radmanović. La dichiarazione finale è la riaffermazione - convinta e operativa - di una volontà di maggiore cooperazione regionale, di una comune prospettiva europea, di progetti condivisi di rilevanza culturale ed economica: e proprio il giorno precedente - sempre ad Ankara - è stato istituito un comitato trilaterale per il commercio. "Sono felice di dire che i leader dei paesi balcanici hanno deciso di lasciarsi alle spalle le agonie e le influenze del passato, aprendo la strada a una trasformazione delle mentalità oggi orientate in direzione di un brillante futuro": queste le parole di Gül nell'indirizzo di benvenuto del vertice, a cui è stato assegnato l'impegnativo slogan "costruire il futuro insieme". E in questa trasformazione, il ruolo della Turchia è stato determinante.Nella nuova politica estera ideata e poi condotta dal ministro Ahmet Davutoğlu, infatti, i Balcani ricevono massima attenzione e visibilità: l'obiettivo dichiarato è quello di ripristinare i legami di epoca ottomana - culturali, economici e politici - recisi con la fine dell'impero e la nascita della repubblica; legami di natura diversa, oggi paritaria e condivisa: per questo motivo il capo della diplomazia di Ankara ha sempre respinto la definizione di "neo-ottomanismo" data al suo approccio, che suggerisce - erroneamente - pulsioni imperialiste.
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( il resto lo leggete su Segnavia, il blog - ormai un sito informativo vero e proprio - dell'amico Luciano Lanna; quando a dirigere Il Secolo c'erano lui e Flavia Perina, sulla Turchia abbiamo fatto grandi cose...)
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