Tutta questa premessa per parlare di Totò Cuffaro. Ripeto, anche se in versione ridotta, ho conosciuto la realtà del carcere. Ho visto quelle facce. Quando stamattina ho visto su La Stampa la foto di alcuni detenuti in attesa del saluto e della solidarietà di papa Benedetto XVI in visita a Rebibbia, non posso negare la strana reazione appena ho riconosciuto in un volto smagrito con gli occhiali il viso di un uomo che ha segnato per molti anni anche la mia vita. Non ci avevo pensato, ma Totò Cuffaro è recluso a Rebibbia. E dunque eccolo lì, in mezzo agli altri detenuti dietro una transenna. Alcuni sorridono, lui no.
Volto smagrito appunto, molti chili in meno rispetto all'uomo che festeggiava a cannoli una condanna per favoreggiamento. A quasi un anno dalla conferma in Cassazione dei sette anni di carcere, Totò è cambiato. Soprattutto è la sua reazione, non tanto la trasformazione fisica, a stupire. Ammetto che, da elettore siciliano di sinistra e antimafia, Vasa Vasa l'ho spesso identificato come l'avversario per eccellenza, per non dire altro. Dopo l'arroganza dei festeggiamenti per un favoreggiamento semplice e non per mafia, non si aspettava nessuno che l'ex presidente della Regione Siciliana ed ex senatore Udc accettasse la condanna in Cassazione con quello che persino Rita Borsellino ha definito "atteggiamento serio e dignitoso". Sulla Stampa ne parlava stamattina Francesco La Licata, sottolineando proprio quello che in realtà solo in Italia sembra strano e inusuale. Un politico che accetta serenamente una condanna.
«Non è più il faccione rubicondo di un tempo, di quando – forte delle centinaia di migliaia di voti dei siciliani – distribuiva abbracci e baci e frequentava ora Palazzo dei Normanni (sede del primo Parlamento europeo ed oggi della presidenza della Regione Sicilia), ora le austere sale di Palazzo Madama. I capelli grigi tradiscono lo stress per la perdita del potere e così pure il viso smagrito, che Totò Cuffaro giustifica non con il rimpianto per le "leggerezze" riconosciute, ma piuttosto per la "vita sana" che conduce in carcere. [...]Così scrive La Licata. Condivisibile. Ma, in fondo, da giornalista, mi faccio una domanda: dove sta la notizia? Cuffaro, come ogni altro detenuto e da buon cattolico, era lì ad aspettare il papa. Uno che è finito in carcere non per sbaglio, non per caso. Solo che a differenza di molti altri "colleghi" (politici e/o detenuti) ha accettato la situazione. Tutto qui.
Eppure fa un certo effetto scorgere Totò vasa-vasa tra la folla di detenuti in attesa di poter cogliere uno sguardo, una parola di conforto dal Papa venuto a lenire le loro sofferenze. Cuffaro ha già incassato i commenti sorpresi di tanti osservatori, addirittura sbalorditi per la scelta di un politico che ha dignitosamente accettato una sentenza, senza gridare al complotto o alla dittatura dei giudici. Un gesto normale, si potrebbe dire, se non venissimo da una lunga notte di confusione lungo la quale si è smarrito l'orientamento, la strada dei diritti e dei doveri. Ma quella faccia che fa capolino tra il carcere e il Papa trasmette qualcosa in più. Si è tentati di considerarla la foto che prova l’avvenuto allontanamento dalla stagione della logica capovolta e dell’arroganza del potere.
Un politico di successo che subisce lo stesso destino di un comune cittadino – dopo aver, anche parzialmente, preso atto dei propri errori e accettato le sanzioni – fa ancora "scandalo", ma, nello stesso tempo, trasmette la rassicurante sensazione che forse è possibile ripristinare il normale corso dei corretti rapporti tra governati e governanti. Anche magari rinunciando a qualche "frizzante" eccesso per una più sobria normalità»
Aggiungo comunque una cosa, e mi permetto di correggerne un'altra. Aggiungo che il radiologo Totò Cuffaro sta studiando giurisprudenza in carcere e qualche tempo fa ha raccontato di un esame di diritto costituzionale andato particolarmente bene. Il professore non l'avrebbe riconosciuto (magro com'è...) e si è complimentato per la bella prova. Cuffaro commentò di aver maturato una certa esperienza per tutte le volte che aveva sollevato conflitti di attribuzione tra Stato e regione.
Correggo invece un'imprecisione, che non c'entra con la sostanza: Palazzo dei Normanni è sede dell'Ars, non della presidenza della Regione. Quella è a Palazzo d'Orleans. In ogni caso, lontana da Rebibbia.