Quante cose, in La stilografica di Piazza del Cavallo di Alberto Guasco (Mauro Pagliai editore), che unisce mondi e anni che sembrano appartenere a pianeti diversi, non fosse che a unirli c'è proprio la parola, anzi, le parole di un bambino di sei anni, a cui la maestra, come tema per le vacanze, ha chiesto di raccontare un eroe.
E chi sono gli eroi, per un bambino, magari per un bambino cresciuto, che molti anni più tardi si trova ancora a scrivere quel tema? Forse anche Paolo Rossi, con i suoi gol da leggenda. O forse il nonno, militare e partigiano durante la seconda guerra mondiale. O forse il padre, che appunto, da neolaureato, fu catapultato in Unione Sovietica.
La parola come ponte. Il filo della memoria. E per fermare l'una e l'altra qualcosa che rimane e passa di generazione in generazione: quella stilografica con l'inchiostro verde che il nonno, durante la guerra, adoperò per scrivere le sue lettere d'amore.
Può passare inosservata, una stilografica. Può perfino essere persa. Ma che bello che ci sia ancora.
E qualcosa del genere vale anche per questo libro, per questa voce originale che è bene non passi inosservata.
Nell'estate del 1982, nei giorni del trionfo azzurro ai mondiali di Spagna, un bambino di prima elementare si trova a fare i conti con il tema assegnato per le vacanze: deve cercare, tra i propri familiari, un "eroe" di cui raccontare le avventure. Ascolterà i racconti del nonno, militare e partigiano durante la seconda guerra mondiale, e quelli del padre, neolaureato catapultato nell'Unione Sovietica di Breznev alla fine degli anni Sessanta. Il risultato è un racconto in forma circolare sul filo della memoria: una lunga lettera, piena di ricordi e pervasa da una sottile ironia, che il protagonista consegnerà alla maestra delle elementari soltanto trent'anni dopo.