Nichi Vendola ed Eddy Testa vogliono un figlio. Anzi, anche più d’uno, come ha dichiarato il compagno del Governatore della Puglia nel corso di un’intervista a Vanity Fair. Ora, pur senza voler emettere il benché minimo giudizio su situazioni o persone, è doveroso porsi un interrogativo di fondo, che prescinde dalla singola situazione affettiva comprendendole tutte: ma un figlio è qualcosa o è qualcuno? Perché se è qualcosa è (al pari di ogni altra cosa) lecito volerla, mentre se è qualcuno è solo lecito aspettarlo, secondo tempi e modi che non sono programmabili, ma sono dati.
Ebbene, non servono ragionamenti particolarmente complessi per capire che no, il figlio – essendo evidentemente qualcuno – non lo si può volere, ma lo si deve aspettare. Si può cioè cercare, ma non lo si può ordinare su commissione (magari tramite la pratica schiavista dell’utero in affitto); lo si cerca – dicevamo – ma se la natura impedisce non già per cause accidentali (come l’imprevista infertilità di una coppia) bensì per cause strutturali (come la costitutiva sterilità di ogni coppia omosessuale) è doveroso ed umano prendere atto di un’impossibilità oggettiva ed invalicabile, non figlia della morale o del pregiudizio, ma della realtà.
C’è poi da sottolineare che non esiste il diritto ad essere genitori: se tale diritto vi fosse infatti, vi sarebbe il dovere da parte della società o dello Stato di corrispondere ad esso, cosa che ovviamente non è. E non è per la ragione che dicevamo poc’anzi: il figlio, essendo qualcuno, è un soggetto e non può, in quanto tale, divenire mai oggetto di consegna. Nemmeno se detta consegna venisse richiesta con ragioni affettive dalla parvenza nobile e filantropica, come il desiderio di paternità. Del resto, l’adozione stessa, almeno nella sua accezione moderna, prima che alla coppia di aspiranti genitori è pensata a beneficio del figlio privo di un contesto familiare adeguato: prova ne è che non tutti i figli sono adottabili e quelli che lo sono, lo sono a precise condizioni.
Da ultimo va considerato che, salvo eccezioni, tutti crescono con un padre ed una madre per il semplice fatto – non culturale ma naturale, anche qui! – che da un padre ed una madre nascono. Lo stesso Vendola li ha avuti: e allora perché – nell’esclusivo interesse suo e del suo compagno – vorrebbe privare un bambino, adottandolo, di un diritto di cui lui per primo ha beneficiato? In un desiderio di paternità a tutti i costi, le proprie aspirazioni non rischiano di offuscare il vero bene di un figlio? Un sereno confronto con questi ed altri interrogativi – che prima di essere espressioni di certezze, ambiscono a metterne in crisi talune, di certezze (come quella, insignificante ma molto diffusa, secondo cui “l’amore è amore”) – non può che aiutare.
Viceversa, insistere con obiezioni debolissime (come quella secondo cui non tutti i figli con un padre ed una madre sono felici, obiezione che sovrappone pretestuosamente la non scontata armonia familiare alla supposta inutilità delle due figure genitoriali) può servire al massimo ad alimentare un dibattito, a tenere viva una polemica di dubbio gusto, ma certamente non giova ad alcuno. Non alle coppie omosessuali, che vengono così illuse di possedere una facoltà che nessuna coppia ha (quella di pretendere un figlio), e non ai bambini, che hanno il diritto – sacrosanto e intoccabile – di crescere con un padre ed una madre. Per questo, pur nel rispetto di tutti, a prescindere da qualsivoglia tendenza sessuale, è sempre e solo a lui, al bambino, che si deve guardare. Ogni deviazione da questa priorità, sarebbe imperdonabile.