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Il crescendo della vicenda e la caccia all'autore della serie di delitti cambierà per sempre le loro vite e la percezione che hanno del mondo.
E' davvero roba tosta, fronteggiare un film come questo.
La prima volta che lo vidi non avevo neppure vent'anni, ero nel pieno della stronzaggine da radical chic finto creativo alle prese con un mondo di idioti e, in qualche modo, mi ritrovavo affascinato dalla figura agghiacciante del serial killer predicatore e visionario cui i due protagonisti danno la caccia.
Oggi, con qualche anno in più e parecchia spocchia in meno sulle spalle, mi pare quasi di sentire tutto il peso di ogni singola goccia di pioggia che il mondo riversa su tutta la torbida vicenda narrata da David Fincher, qui ad una delle sue prove migliori.
La controllata razionalità di Somerset e l'impulsività sfrenata di Mills, il loro lavoro e le loro vite, i pregi e i difetti esercitano ora un fascino molto maggiore di quello che il rincoglionito e stronzo Ford adolescente subiva da John Doe ai tempi, così come il rapporto che cresce e si consolida tra i due: un metronomo che non riesce più a scandire i tempi di una vita per troppo tempo consumata in solitudine pare quasi suggerire alle passioni di tenersi stretto quello che hanno conquistato, facendo attenzione a non andare un passo troppo oltre, a guardare l'abisso quel tanto che basta perchè lo stesso ricambi l'occhiata.
L'escalation degli omicidi, la loro pianificazione, il piano cambiato e l'ammirazione espressa per i poliziotti ed il loro lavoro delineano un profilo scritto chirurgicamente da Andrew Kevin Walker, che consegna a Fincher una sceneggiatura ad orologeria cucita addosso ai tre protagonisti, resa ancor più potente da una messa in scena e una colonna sonora da brividi ed esplosa in almeno tre scene di culto - il ritrovamento di Victor, l'inseguimento di John Doe nel palazzo dove vive, il confronto finale - in grado di consegnare Se7en alla Storia della settima arte rendendolo una pellicola di riferimento del suo genere quasi al pari dei leggendari Manhunter e Il silenzio degli innocenti - prima o poi verrà anche il loro turno, qui al saloon -.
Ma non esiste un commento tecnico o razionale, per questo film, che valga una lettura anche meno precisa ma più passionale: i tempi del fascino del male sono passati, e per quanto io possa mantenere con buon successo il mio equilibrio nella vita di tutti i giorni e comprendere l'approccio di Somerset, non riesco a non rabbrividire di fronte ai tremori di Mills, e a quella pistola spianata dall'ira.
Esistono la legge e l'ordine come il caos e la distruzione, e da più di un punto di vista la scelta di abbassare l'arma appare la più giusta e logica, la più coerente e civile.
Eppure, di fronte alla rivelazione più sconvolgente che John Doe potesse fare a Mills, a quei singhiozzi strozzati e alla disperazione magnificamente resa da Brad Pitt, viene difficile pensare di resistere alla tentazione di premere il grilletto: più che vendetta, pare di essere di fronte a qualcosa di dovuto al nostro cuore, che allora non capivo, ma ora comprendo bene.
Forse la differenza sta nell'avere qualcuno che ami.
Per questo Somerset riesce, pur se non fino in fondo, a scandire il tempo di quel metronomo, e pensare ad una soluzione che porti ad una vittoria, alla conclusione del loro percorso di detective, e non del sanguinoso piano di John Doe.
Somerset è solo. Da qualche parte, ma non lontano.
Eppure sempre, inesorabilmente solo.
Mills ha qualcuno da amare, proteggere, tenere a distanza da un mondo che piange per lavare via tutti i suoi peccati.
E il sole spunta soltanto alla resa dei conti, quando occorre scegliere se premere o no quel grilletto.
Forse, con il tempo, un pò come l'Hap di Lansdale, sono diventato un pò meno democratico di quanto pensavo di essere, o semplicemente la mia natura più vera e passionale ha preso il sopravvento su quella fastidiosa aura di superiorità che amavo sfoggiare ai tempi in cui mi credevo chissachì e invece ero solo uno stronzetto adolescente che ancora non sapeva che farsene di quello che cominciava a ribollirgli dentro.
Fatto sta che in quel momento, di fronte a quella rabbia, non mi importerebbe proprio un cazzo della vittoria di Doe, o del completamento del suo grande piano.
Fanculo, John Doe.
Non c'è posto qui, per te.
Per te e la tua spocchia.
Se questo significa essere ira, che ira sia.
Il mondo è un bel posto, e vale la pena lottare per esso, recita Somerset in chiusura citando Hemingway, dichiarandosi d'accordo solo con la seconda parte.
Io dico che non ci sono John Doe che tengano, sono in tutto e per tutto con il vecchio Ernest.
Anche se questo significa "vivere delle proprie emozioni" accanto a Mills.
MrFord
"Hai presente Kevin Spacey?
Bene, è lui Kaiser Soze nei Soliti Sospetti!
Serial killer di Seven? Kevin Spacey!
Cattivo di Superman? Kevin Spacey!
Perfetto Criminale? Kevin Spacey!"
Caparezza - "Kevin Spacey" -
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