di Leonardo Masi
(da Wikipedia)
Poche ore prima che ricevesse l’Oscar 2013 per il miglior documentario, domenica mattina a Varsavia ho visto il bellissimo Searching for Sugar Man, del regista svedese Malik Bendjelloul, e ve ne voglio parlare, sperando che anche in Italia venga proiettato nelle sale.
All’inizio la storia non sembra niente di particolare. Si parla di un cantautore di Detroit di nome Sixto Rodriguez che intorno al 1970 incide un disco che ai produttori e alla casa discografica sembrava avere tutte le carte in regola per sfondare nell’America di allora. Testi intelligenti e impegnati, melodie orecchiabili, voce piena di carisma. Il regista intervista i produttori e i discografici dell’epoca, persone che hanno collaborato con Stevie Wonder, Marvin Gaye e altri grandissimi: tutti pronti ad affermare che Rodriguez era il migliore di tutti, che Bob Dylan era un pivello in confronto, e che ancora dopo anni non sanno spiegarsi il perché del fallimento, anche se avanzano varie ipotesi. La A&M, che non era certo l’ultima delle case discografiche, scommise sull’artista di origine messicana anche per un secondo album. Fu un altro fallimento. Forse la riservatezza di quest’uomo non giovò alla sua carriera, forse le esibizioni pubbliche gli avrebbero giovato, ma lui era schivo, si esibiva al buio, di spalle alla platea. E a un certo punto del film veniamo a sapere che prese a circolare la storia secondo la quale, alla fine di un concerto malriuscito, Rodriguez si sparò. Oppure si diede fuoco. Tutto comunque è avvolto nel mistero.
Il regista crea una certa suspense, lo spettatore inizia a chiedersi: ma chi era questo Rodriguez? Possibile che nessuno ne abbia sentito parlare? Se lo chiedevano anche nel Sudafrica degli anni dell’Apartheid più rigido. Qui successe qualcosa che ha dell’incredibile. All’inizio degli anni settanta una ragazza americana aveva portato con sé a Johannesburg alcuni dischi dagli Stati Uniti. Fra questi c’era un lp del nostro eroe, che fece breccia nel cuore dei giovani sudafricani, soprattutto per i suoi testi, che infatti prontamente vennero censurati alla radio. Ma questo non fece che giovare alla popolarità del cantante: le canzoni di Rodriguez divennero la colonna sonora del movimento anti-apartheid, giornalisti, musicisti, musicofili dell’epoca ci spiegano che in ogni casa dell’intellighenzia sudafricana avremmo trovato sicuramente tre dischi: Abbey Road dei Beatles,Bridge over Troubled Water di Simon & Garfunkel e Cold Fact di Rodriguez. C’era perfino gente che s’era fatta tatuare l’immagine di Rodriguez. I suoi dischi qui venivano stampati e ristampati, ma in America nessuno ne sapeva nulla – si trattava infatti di copie semi-clandestine, sulle quali sicuramente qualcuno si era arricchito, ma non certo Rodriguez o i suoi discografici americani. Fatto sta che, dopo aver visto la prima parte del film, sentir parlare della popolarità di questo artista in Sudafrica ha del surreale. Ma non è finita. Un giornalista-detective sudafricano, coaudivato da un gruppo di fan irriducibili, decide di scoprire come è morto Rodriguez.
A Detroit scopre che Rodriguez non è affatto morto. Vive nella città in cui viveva, lavora, fa il manovale come aveva sempre fatto prima, durante e dopo aver registrato i suoi due unici dischi. E, come in “Carramba! Che sorpresa” il regista, con un coup de théâtre ci fa vedere Rodriguez in carne e ossa. Ci racconta che ha lasciato perdere la carriera senza troppi rimpianti, ci dice che il lavoro fisico lo fa sentire più vivo, gli fa circolare meglio il sangue. Sempre impegnato socialmente, si era addirittura candidato come sindaco negli anni Ottanta. Non sa di essere una star in Sudafrica. Beh, gli dicono, vieni da noi a vedere, non te ne pentirai.
E qui c’è un’altra parte altamente surreale del film: Rodriguez arriva in Sudafrica per una serie di concerti sold-out. Viene ricevuto come se fosse Michael Jackson. Se non vedessimo le immagini girate da una videocamera amatoriale durante un concerto non ci crederemmo: l’ingresso in scena è accolto da un’ovazione di dieci minuti. Una folla che reagisce come se si trovasse davanti a Elvis risorto. Rodriguez, che intanto abbiamo imparato a conoscere un po’, e ci sembra un timido maestro di vita, un uomo modesto, amante delle piccole cose, non si scompone e tiene con grande professionalità i suoi concerti, va ai talk-show, alla radio, eccetera. Poi torna a Detroit al suo lavoro di manovale, regalando alle figlie e agli amici quello che aveva guadagnato con quei memorabili concerti.
Sixto Rodriguez (da Wikipedia)
Searching for Sugar Man è un film che a tratti commuove, un film “positivo”, che lungo la storia magistralmente raccontata (anche se a costo di alcune forzature) fa sorgere molte domande e tocca i più svariati temi: le regole del successo, il funzionamento dell’industria discografica, la forza della musica, il confine tra poesia e azione.
A distanza di anni le canzoni di Rodriguez sono delle ottime ballate acustiche. Resta un dato di fatto che persone meno talentuose di lui hanno fatto una grande carriera. Anche se sono molto legate a un’epoca, le canzoni di Rodriguez non sono datate, e sicuramente, sulla scia del film di Malik Bendjelloul e soprattutto dell’Oscar che ha ricevuto, verranno riscoperte. La Sony ha già messo in vendita un cd che raccoglie il meglio dei due dischi dell’artista. A noi, fra le poesie di Rodriguez, piace citare qualche passo di questo Establishment Blues, che non ha perso d’attualità:
The mayor hides the crime rate
council woman hesitates
Public gets irate but forget the vote date
[…]
Woke up this moming with an ache in my head
Splashed on my clothes as I spilled out of bed
Opened the window to listen to the news
But all I heard was the Establishment’s Blues.
[…]
This system’s gonna fall soon, to an angry young tune
And that’s a concrete cold fact.
***
Il sindaco nasconde le statistiche dei crimini
la consigliera è titubante
la gente s’arrabbia ma si dimentica quando deve votare
[…]
Stamani mi sono alzato col mal di testa
mi son buttato i vestiti addosso e son schizzato fuori dal letto
ho aperto la finestra per sentire che c’era di nuovo
ma non si sentiva nient’altro che il blues del Sistema.
[…]
Questo apparato crollerà presto sotto una musica giovane e arrabbiata
e questo è un dato di fatto concreto.
[trad. Leonardo Masi]