Senza speranza. Senza speranza e peggio ancora. Peggio? Sì, sì. Peggio di così. Se guardava avanti vedeva le poche ore che aveva ancora per farsi girare il sangue addosso, e poi più niente. Misurava il suo tempo in chilometri, si diceva: a Trieste, arrivo; a Trieste sì e no. E pensare che Trieste non l’aveva mai vista.
Se fosse partita in quel momento, per Trieste… ?
Un barlume. Speranza? No, no. Speranza no. Eccolo lì il barlume. È mattina. Il barlume è fuori dalla finestra. Quello che prima era stato il giorno, ora era un barlume. E quello che era stato un barlume ora era fumo. Fumo? No, nemmeno quello. Nemmeno fastidio.
Una palla di fuoco, era il barlume. E bruciava il tempo che non aveva forse mai avuto, almeno non fuori dalla pelle. Attimi di canzoni ripetute – i più inutili, forse i migliori. Chi lo sa. Vorrebbe guardarsi le vene e i tendini delle mani ma vede solo le sue cataratte – e un barlume. Si ricorda di quel suo amico che indicava le vecchie dicendo – quella lì ha già un piede nella fossa. La fossa. Se lo immagina zoppicare in una cunetta; della gioventù solo la barba, ma bianca, e crespa, e secca. Occasioni sprecate.
Vecchia. Secca. Stecca. Sigarette. Richiama il sapore. Le piacevano? Mah. Il gusto che avevano non era in bocca, nè nei polmoni. Era tutto nella testa. La testa! La testa o il barlume? Doveva decidere. E gli uccelli. Gli uccelli. Una volta ha sentito cinguettare e si è girata verso l’albero ed è riuscita a vederlo, in lontananza, nei rami, e si è sempre chiesta se era un usignolo, ma ogni volta che avrebbe potuto controllare aveva altro a cui pensare – che lo spazio degli uccelli è fuori, fuori, fuori. Nel cielo. Come lanciati. Come un pallone. Calciati. Calciati in alto dalla fame. Cacciati. Cacciati in basso per la fame. La fama. La trama. Trema. Trema. Non ha più tutto quel sangue. Fa freddo adesso. E poi? ..È il momento..?! No, no. È solo un, momento. Ma passa.
E quindi testa. Preferire testa alla croce. Che la croce poi arriva. Ma adesso testa. E quindi ciao barlume. Ciao uccelli. Non dice che ha chiuso con loro ma è la verità. Ha vissuto una vita per i ricordi, ora vive lì dentro, pensa quello che non può più fare, quello che faceva senza sapere, quello a cui non sapeva pensare prima di farlo. Adesso sa il massimo che può sapere, forse anche meno, che le cose poco importanti sono andate via; e forse anche qualche nome, qualche vecchio parente; e sotto i vent’anni si chiamano tutti uguali. E questa passione per gli animali da tenere in casa come degli scomunicati. Nella sua testa però non è così chiaro. Ormai sono solo emozioni che vibrano sottopelle come la luce. La sua pelle è di cartapesta e le sue vene brillano di blu. È trasparente, fatta d’aria. Ossa di ceramica. Pupille di vetro. Fragile. Frigida. Un piede addormentato e un piede nella fossa.
È maggio e il giardino non ha mai avuto tanti fiori.
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