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Sebastiano A. Patanè Ferro: sono solo un verso

Da Narcyso
10 gennaio 2014

Sebastiano A. Patanè Ferro, GLI ANGOLI, Edizioni Smasher 2013

io
È un libro costruito su un verso roboante di emozioni e pensieri, di vita, dunque, sul filo di una autobiografia sofferta dove pezzi di vita finiscono per coincidere con la vita di tutti.
Il vento sembra essere l’immagine portante di queste poesie, e quindi il trasporto:

Che c’entro io con la maestà del vento col silenzio del grano
come vento e grano-mare si riaprono innumerevoli le valli verdeoro
dal senso al tacco, sulla cresta, sul mediano dove scorre il mignolo
sul barcone femmina che mi condurrà altrove attraverso un gemito

p. 17

… e quindi l’incontro problematico con le creature, i vivi e i morti; ma anche gli elementi naturali di una terra ancora in grado di alimentare l’immaginario e lo spirito; vicinanza alle cose, fin quasi ad investirle, – “di metafora accorcio la distanza” – : aria, resina, i rossi, i gialli, il grigio…

restano i girasoli a ricordarmi il giorno
affonda la chiglia nell’attesa ed è notte, solo notte
sull’argento degli ulivi sulle smanie di maggio
fin dentro i pluviali dove si nascondono le distanze

p. 25

Ma soprattutto la lingua spinosa, la lingua della poesia, nel suo ruvido viaggio sulla superficie delle cose e delle anime a tracciare solchi dolorosi e necessari, a riaprire o a cicatrizzare vecchie ferite, a immaginare sentieri che si snodano a partire da qualche groppo.
Lingua, dunque, che vive in osmosi, contatto o tatto, o urto o guerra con il mondo ma non lo trascura, non lo mette da parte.
Il poeta – Sebastiano Patané, ne è cosciente – “è solo un verso”, immaginato per tutto ciò che sfugge e non dura: “passano veloci gli oracoli dei fiori”…
Eppure questo trascendente che approda all’assenza non è l’assenza: è un aratro che trascina con sé terra e rimanenze di semi non fioriti, che smuove gli ingranaggi del cuore e prepara nuove semine.
In tutto questo fiorire e sfiorire la poesia, quando è poesia, butta all’aria le maschere, sbandiera le sue ingenue e ruvide parole: “cos’è allora questo luccichio nel buio e quegl’incisi e gli aghi…”; sa parlare della perdita dell’amore e del languore che ne viene. A Sud, con quel misto di turgore e forza che appartiene alla poesia del Sud.
Sebastiano Aglieco

***

Le parole

Le parole, le più vere
muoiono nelle pozzanghere gelate del mattino
ma ho sempre un angelo
da posare piano la sera, nessun nucleo
e dodicimila traiettorie verso una sola vibrazione

Adesso, da sotto la curva dei muri,
posso solo attendere la marea
e non importa se spezzerà i cristalli
di tutte le buonanotte perché
solamente il soffitto sa del sacrificio

e la mia carne

p. 20

***

# 7 dell’assenza

restano i girasoli a ricordarmi il giorno
affonda la chiglia nell’attesa ed è notte, solo notte
sull’argento degli ulivi sulle smanie di maggio
fin dentro i pluviali dove si nascondono distanze

La bruma assale i marciapiedi e cerca fughe nei bidoni
fra crudeltà ingiustizie e decapitati esempi
mentre batte il tempo un giallo rarefatto
ed un bicchiere si apre ancora di veleno

Un nugolo di ore migra verso est
e tu di lato cerchi nei miei occhi chissà cosa

p. 25

***

# 9 dell’assenza

è che non tornano le verità dell’attimo
ma vorrei che le rose promettessero ancora
la loro eternità
che le api danzassero il rito del carrubo
e vorrei un pane da spezzare anche senza sete
affinché le allodole per sempre
continuassero il loro viaggio

ma questa vastità di niente
dove ogni cardine si perde
dove non c’è un “dove”
e la miseria pure s’allontana…
in quest’assenza immobile
a viscosità infinita
anche il cielo ha smesso di guardare

è che hanno accecato le ali agli angeli…

p. 28

***

Sono solo un verso

la notte cresce i suoi cipressi per domani
per dipingere qualche cirro nell’azzurro piatto
ecco la notte come passa il giorno…

lontana dai naufragi questa notte densa
di silenzio e tazze vuote
scivola nei brevi tatuaggi dei muri
senza lasciare un segno e non basta più
l’onda sonora della tua poesia…
vorrei del caffè da bere in due
qualche biscotto in più e nessun rammarico

Ah! notte sovrana e cieca
di quanti chiodi è fatta questa carne
incastrata fra tante parole

sono solo un verso

p. 42


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