Strano questo libro. Così esile e composto. Pare abbia in sé la geometria che facilita il volo. Ovvero un asse portante di tutte le manovre. Ma in poesia per volare occorre innanzitutto abbattere il Tempo.
Prologo
gente di corsa al principio del giorno
non ne attende né l’arrivo né il ritorno
Quindi codesta corsa Federico è sul posto? Nel luogo che non ha ritorno? Perché nessuno sa come ci si è arrivati. Ecco i capi dell’incubo dantesco: “Mi ritrovai….”
L’incubo è tragedia. Tragedia che rispetta le unità aristoteliche di tempo, di luogo e d’atmosfera.
La tragedia è Inferno in terra. Ma il poeta rimane perno della sua esistenza. Perché se scrive, lui lì da solo, c’è già stato.
Ed ecco che dopo il Prologo ci sono 11 movimenti. Bel numero l’undici. Io poi ci sono nato in un undici qualsiasi. Ma questo è voluto. Desiderato. Perché la Tragedia avvenne quell’undici settembre.
E considerando buone le coincidenze del nostro piano astrale teniamo a mente che nei Tarocchi quel numero indica la fine di un ciclo che coincide con l’inizio del successivo, mentre nella Cabala ebraica equivale alla Cacciata dal Paradiso. Ovvero la Crisi in tutto il suo bagaglio etimologico.
E così Scaramuccia sceglie di provarsi in quel volo. Si forgia un ago dalla cruna strettissima, ed incomincia ad esercitare il suo occhio e la sua mano. Il suo vocabolario diviene puntuale. Non stride in nessun abbinamento lessicale. Ogni verso misurato secondo metrica. Ogni taglio rifilato alla perfezione. Solo un ottimo sarto può confezionare una cicatrice. Una cicatrice da 11 punti.
Mano ferma ed occhio dal focus infallibile. Zarathustra di Ground Zero. Conforto per Dio e per chi perse quel giorno ogni Parola.
da COME UNA LACRIMA
un tonfo le fiamme l’incenso
immondo rimane un silenzio
e in grembo giù in fondo una fame
le fiamme che dentro confondono
è il cielo in fiamme che continua a fremere
la vita che ritorna a terra in cenere
si dondola nell’aria un poco stanca
finché non si posa soffice e bianca
scende lentamente senza riposo
ancora calda si appiccica addosso
si attacca alla pelle come una macchia
come un vento freddo un soffio che graffia
come una lima che va avanti e indietro
piccole schegge impazzite di vetro
sul cielo bianco si alzano le fiamme
tagliano il buio affilano le lame
mangiano quello che ancora rimane
ardono per la febbre per la fame
una fame che ingrassa e non si sazia
nutre la carne e nel morso la strazia
scivolano chine fra le macerie
avide scorrono per vene e arterie
strozzano l’anima dentro ad un gorgo
premono in grembo cercando uno sgorgo
sbucano infine dal cavo del fosso
tra sbuffi di fumo e spruzzi di rosso
si dondola al vento ormai in panne
in trionfo sul tempo uno sciame
di fiamme che irrompono dentro
un vento di rame e di piombo
FEDERICO SCARAMUCCIA è nato a La Spezia (1973).Attualmente vive a Milano e insegna in una scuolamedia dell’hinterland. Ha pubblicato alcuni libri di versi,tra cui Come una lacrima (d’if 2011), vincitore del premio di letteratura “i miosotìs”.