di Giovanni Agnoloni
Le sette biciclette di César, di Sebastiano Gatto (Amos Edizioni), è un romanzo breve, ma un po’ come Alcune parole per Alice, opera del suo editore Michele Toniolo, denso a tal punto da non far neanche venire il dubbio che possa trattarsi di un racconto. E dico di più: possiede al tempo stesso le virtù di entrambe le forme narrative, perché ha la compattezza del racconto e la complessità del romanzo, ovvero – secondo la definizione data da Elsa Morante, come sempre Michele Toniolo ama ricordare – racconta sia un momento di una vita, sia un’intera vita.
Qui il momento e la vita sono quelli del protagonista/io narrante, che si trova a dover fare i conti con un’esistenza grigia e in gran parte insoddisfacente, che sembra aver vissuto per lo più per rimuovere da sé perfino l’ombra dei sogni e delle pulsioni giovanili, avvizziti e scaduti. È un personaggio da sempre incapace di imprimere una svolta di entusiasmo alla sua esistenza, un immaturo che, sullo sfondo di una Mestre e di una Venezia tristi e monocordi, si avvicina, o meglio si riavvicina, all’euforia dell’amore solo grazie al fortuito incontro con una ragazza dai tipici tratti rockettari, molto più giovane di lui, della quale s’invaghisce.
Riesce così a tenere a bada lo spettro della frustrazione, evocata in lui anche dalla ricomparsa di un vecchio amico e compagno di scorribande giovanili, Pablo, emigrato con buona fortuna in Spagna e molto più capace di “fare”, nella vita.
Ma lo attendono lo scoglio di una delusione e la svolta inattesa di una rivelazione sconcertante. E la narrazione, nel finale, si rivolta come un calzino, svelando il profilo imprevedibile di un “giallo sentimentale“.
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