- Anno: 2015
- Durata: 108'
- Distribuzione: Mariposa Cinematografica
- Genere: Drammatico
- Nazionalita: Italia
- Regia: Francesco Calogero
- Data di uscita: 04-February-2016
Sinossi: Cercando acquirenti per la sua villa al mare, l’architetto Andrea conosce l’anestesista Rosanna, sposata con Riccardo, aspirante scrittore. Durante una movimentata notte di Capodanno, Andrea presenta Riccardo alla studentessa Hikma, che lo aveva colpito per la somiglianza con la moglie Sofia, morta quattro anni prima nella villa. Mesi dopo, nel sapere che Hikma aspetta un figlio da Riccardo, affrontando gravi difficoltà, Andrea propone loro di abitare con lui nella villa al mare…
Recensione: La gentilezza del tocco del 1987 è il titolo del primo film di Francesco Calogero. Ancora con gentilezza e forse con lo stesso tocco dirige ora il suo sesto lungometraggio; ancora una storia intima, privata, come tutte le altre nelle quali ci ha raccontato le solitudini e gli spaesamenti dei personaggi.
Il protagonista di Seconda primavera è Andrea (Claudio Botosso), architetto cinquantenne che non si concede ai facili compromessi della città di Messina, dove vive e lavora. La sua coerenza viene scambiata per testardaggine, tanto che il suo collaboratore gli dà del narcisista distruttivo; qualcun altro, parlando di lui, e citando il romanzo di Peter Handke, usa l’espressione infelicità senza desideri. Ci sono altri riferimenti colti in questa storia, che per fortuna non paiono ammiccamenti allo spettatore, ricerca di complicità; al contrario scivolano con naturalezza, a rendere più credibile l’ambiente un po’ intellettuale, ma non troppo, nel quale Andrea si muove e nel quale conosce la giovanissima Hikma (Desirée Noferini) e il giovane Riccardo (Angelo Campolo). La coppia si forma sotto i suoi occhi per un capriccio nella serata di Capodanno, o per rivalsa di entrambi nei confronti dei rispettivi compagni. Una leggerezza che costa molto cara: Hikma resta incinta e insieme a Riccardo, disoccupato, va a vivere in un posto tristissimo.
Andrea intanto non riesce a controllare il meccanismo di proiezione nei confronti della ragazza. Gli ricorda fin troppo la moglie morta quattro anni prima, incinta di otto mesi, mentre lui era lontano per sfuggire alla paternità. Decide così di ospitare Hikma e Riccardo a casa sua, nella sua bellissima villa, come a volersi dare una seconda possibilità. La primavera del titolo infatti è davvero un modo per tornare alla vita, lui sempre così malinconico e sofferente. L’investimento affettivo verso la ragazza è un sentimento tra il paterno e il sentimentale, di protezione e attrazione; quello che importa è vivere ora ciò che non si era voluto vivere allora.
Una commedia drammatica (dice il regista), che per materia e modalità narrativa ha molti rimandi (diciamo noi). Una scena, più di altre, nella quale Andrea raccoglie i capelli di Hikma, quasi a renderla il più possibile simile all’ immagine nella sua mente, ci ricorda La donna che visse due volte. Ancor di più i vestiti della moglie che lei indossa e che lui la incoraggia ad indossare. In altri momenti l’atmosfera sembra quella di un Rhomer mediterraneo, per il pudore nell’avvicinarsi alla quotidianità di ciascun personaggio, di Andrea, soprattutto, con il suo segreto, e di saperla rendere così interessante.
>Claudio Botosso, all’anteprima del cinema Palestrina di Milano, ha raccontato quanto sia stato difficile questo personaggio sempre sotto tono, a cui non è stato mai concesso un sorriso. Il suo dolore è reso dai primi piani insistiti, a cui come in uno specchio si riflette il mare sempre grigio, nonostante il cambio delle stagioni. Ne sono rappresentate sei: inverno, primavera, estate, autunno, e poi ancora inverno e poi ancora primavera, in una successione che non ha niente della circolarità di Kim Ki-duk. Perché qui il tempo scorre in maniera lineare, con dei rimandi al passato, certo, ma per andare avanti, guarirne, e guardare verso il futuro.
Il teatro di questa consapevolezza è la villa di Andrea, luogo dell’incidente in cui è morta la moglie, e quindi abbandonato, ma bisogna tornarci per fare i conti con i sensi di colpa. Lì Hikma sprigiona tutto il suo fascino innocente e seducente, la sua vitalità e le rabbie per aver dovuto abbandonare gli studi, ma soprattutto lì Andrea vive un surrogato di paternità che cura le sue ferite. Il setting cinematografico della casa si fa quindi setting terapeutico, uno spazio mimetico per un percorso lento, come è giusto che sia, con un ponte sospeso che Andrea ignora, mentre è attraversato spesso da Hikma con la leggerezza dei vent’anni. Il mondo esterno però non è tagliato fuori e il film accenna ai problemi attualissimi e a tematiche non solo siciliane (il degrado delle città, l’integrazione culturale, per esempio). E chissà che il ponte nella casa di Andrea non sia metafora, oltre che del passaggio esistenziale, anche del ponte di una Messina che non a caso è poco riconoscibile, né nella sua bellezza, né nello scontato immaginario del Sud.
Belle le musiche di Sandro Di Stefano; struggente La Canzone dell’amore perduto di De Andrè, cantata da Mario Lavezzi sui titoli di coda.
Margherita Fratantonio