Il regista siciliano Francesco Calogero (già autore di Metronotte) torna al cinema dopo sedici anni per firmare Seconda Primavera, un'opera su più fronti non riuscita che manca ogni promessa di 'fioritura' espressa dal titolo.
Nella Messina dei giorni nostri Andrea ( Claudio Botosso) è un architetto cinquantenne di grande talento ma dal passato sofferto. In procinto di vendere (causa ristrettezze economiche) la sua splendida villa in riva al mare, suo primo progetto nonché luogo di una breve ma intensa vita felice assieme all'ex moglie (scomparsa in circostanze misteriose), l'uomo s'imbatterà in una figura di donna più giovane di lui (ovvero la bellissima ragazza di origini maghrebine Haikma), e assai affine ai ricordi di un passato ancora fresco, in un incontro destinato a generare in lui una Seconda primavera. Una rinascita. Una nuova partenza. Quel volto di donna emerso così 'familiare' dai ricordi dolorosi della sua mente, si muoverà infatti lungo il processo di ricomposizione di un presente e di un futuro che sembravano oramai andati, svuotati di senso e di contenuto, restituendo - ora - le bellezze di quella villa con giardino a un propria 'missione'. Ospitando in casa propria Haikma (ripudiata dal fratello e rimasta per questo senza dimora), il suo giovane compagno Riccardo (un ragazzo con poca voglia di fare ma grandi velleità) e la loro famiglia in divenire, Andrea ritroverà infatti la geometria dei propri progetti, delle proprie ambizioni, della propria idea di 'costruzione', nel tempo risucchiate nel gorgo del dolore e di un perfezionismo sterile e distruttivo. Un tragitto lungo sei stagioni per far (forse) rifiorire la propria felicità e il proprio io.
Se son primavere fioriranno
"...che imbroglio era, maledetta primavera; che fretta c'era... se fa male solo a me". Se fosse una canzone potrebbe auto-definirsi tramite i versi intonati nei gloriosi anni ottanta nella Maledetta Primavera di Loretta Goggi. E invece, a scanso di equivoci, vorrebbe essere proprio un film l'opera sesta di Francesco Calogero, che arriva al cinema a distanza di sedici anni da Metronotte, realizzato nel 1999 dall'ispirazione di un fatto di cronaca nera e che vedeva nei panni del protagonista Diego Abatantuono. Striminzito per talento e aspirazione, Seconda Primavera si palesa invece quasi subito come uno di quei casi filmici estremi, dove la mancanza di contenuti va a sovrapporsi a una sostanziale e totale inadeguatezza dei mezzi. Perché se l'obiettivo primario dell'opera di Calogero era quello di indagare la seconda chance (pare che al cinema le seconde chance e affini - vedi la Bier - siano funeste) offerta a un cinquantenne in crisi esistenziale indotto a ricredersi sulle proprie aspettative, si tratta di un obiettivo ben nascosto o (peggio) miseramente fallito. Linee narrative che s'incrociano raminghe includendo ogni tema e tematica senza scioglierne alcuna, e una recitazione decisamente insoddisfacente che evidenzia da vicino tutti i macrodifetti dell'opera concorrono tutti a 'riempire' la struttura sfiorente di quest'opera. Scelte, traumi, tradimenti, nuovi inizi, ma anche tematiche delicate come l'integrazione o il lutto, tutto si mescola e si confonde in questa Seconda Primavera che cerca a "rotta di collo" di trovare un proprio respiro esistenziale, pur non riuscendo (ahinoi) a trovarne mai neanche l'ombra. E anche l'allegoria di un giardino pronto a rifiorire resta lì inerme e 'inutilizzata'. Il filosofico diventa banale, l'esistenziale didascalico, e il simbolismo (quello potenziale incarnato dalle viole, da una stagione di nuovo in fiore, e dalle citazioni piuttosto fuori luogo e tempo massimo a Hitchcock, De Andrè, e altri grandi a caso chiamati in extremis a redimere il senso vacuo della visione in oggetto) muta nell'inutile appendice di un'opera mal pensata e assai mal realizzata. Dunque una lunga e funesta primavera che sfiorisce inquadratura dopo quadratura, anziché fiorire come di norma dovrebbe accadere nel percorso cognitivo di un'opera degna di nota.
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