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Seconda stella a destra: i vincitori

Da Gftl

Seconda stella a destra. Tutto è iniziato qui: alla Reggia di Caserta.

Tutto è iniziato con un sogno, il sogno di un luogo magico dove poter essere unicamente se stessi in vibrazione perfetta con l’universo.

Questo scrivevamo a metà di giugno di questo anno:

“Esistono tanti luoghi magici, che destano sentimenti di estasi e stupore, i luoghi in cui si avverte che le nostre dicotomie si uniscono e i frammenti del nostro io si ricompongono fino a diventare uno.

Ci sono luoghi dove possiamo finalmente ricongiungerci con noi stessi e restare allo stesso tempo sospesi in un tempo infinito.
Tutti noi abbiamo quel luogo, tutti abbiamo conosciuto il genio del luogo.”

Poi sono arrivate le vostre parole e le vostre immagini che ci hanno fatto sognare e tre giudici eccezionali che ci hanno accompagnato.

Michele Tabozzi, che con la macchina fotografica riesce a cogliere le emozioni degli chef, delle brigate e dei luoghi del gusto, ha scelto le immagini più belle.

Gianfranco Marrone, professore dell’Università di Palermo, il semiologo che spiega perchè amiamo tanto parlare tanto di cibo, ha letto attentamente tutti i  testi arrivati.

Diego Cajelli, sceneggiatore e fumettista, colui che ha fatto diventare Chef Rubio un super eroe, ha colto la sceneggiature nelle storie scritte, filmate e fissate in un clic di una macchina fotografica.

Ringraziamo Pasta Garofalo che ci ha ispirato con il corto sulla Reggia di Caserta e permesso di portare avanti questa pazza idea, e grazie anche a Niko Romito e a Unforketable che offriranno ai vincitori delle ricette 3 stelle Michelin

E, rullo di tamburi,  vincitori sono:

Per la FOTOGRAFIA: perchè hanno saputo ricreare bene l’idea del luogo dell’anima, spazio, luce e colori, nostalgia e rmonia allo stesso tempo,

1. classificato Roberto Badiali

Roberto Badiali

Roberto Badiali

2. classificato Giovanni Manta

Giovanni Manta

3. classificato: Mario Pepe

Mario pepe

Mario pepe

Per i RACCONTI:

1. classificato: MEDITERRANEO. AI TEMPI DELLA CRISI di Patrizia Malomo

“La prima cosa che ti porti via lasciando la Grecia è un senso di azzurro.
Puoi stingere gli occhi, concentrarti sui ricordi, rivivere in rewind con la memoria il tuo viaggio, ma sempre lì ritorni: in quel senso di azzurro che ti pervade, ti solleva e ti resta dentro per giorni.
Sto per tornare. Sei anni dall’ultimo viaggio sono tanti e non so veramente cosa aspettarmi.
Athene all’epoca era una città appena uscita da un’Olimpiade.
Nulla lasciava presagire quello che da lì a poco l’avrebbe travolta.
Adesso non ne parla più nessuno, ma il fallimento di un paese non è roba per vecchi. Neanche per giovani.
Non conosco la Grecia come vorrei, non ho visitato le isole e probabilmente le lascerei per ultime dovendo scegliere. Qualsiasi luogo gremito di turisti smaniosi mi fa venire voglia di stare a casa mia.
Arrivo che il sole è già calato. Con i miei compagni di viaggio dobbiamo raggiungere Kalamata e lo facciamo in auto.
Per deformazione professionale ho bisogno di darvi un’idea di dove si trovi Kalamata, nota ai più per le sue magnifiche olive grosse e carnose.
Parliamo di Peloponneso ed in particolare di Messenia.
Il Peloponneso è quella penisola che rappresenta il sud del paese ed ha la forma di una piccola mano a 4 dita. E’ collegato al resto del continente dallo stretto di Corintho, che è proprio il posto dove ci fermiamo per una piccola pausa ristoratrice. Abbiamo ancora due ore di viaggio per raggiungere la nostra destinazione, situata tra il mignolo e l’anulare della mano in questione. E’ già notte.
Nel piccolo paese di Antica Corintho non c’è praticamente nessuno, tranne sparuti capannelli di uomini locali che guardano la partita di turno dei Mondiali. I ristoranti sono ancora tutti aperti, ma vuoti ormai. Le dieci di sera di un giugno inoltrato: mi immobilizzo di fronte al Tempio di Apollo illuminato nel buio e mi domando perché non ci sia la fila per ammirare questa bellezza. La domanda si perde nel silenzio della notte.
Viaggiare la notte può essere romantico e sollecita pensieri ed emozioni, ma non ti fa capire nulla di ciò che succede intorno a te. Il paesaggio è solo una lunga ed interminabile pausa silenziosa e scura e non vedi l’ora di raggiungere il tuo Hotel. Però quando ti svegli è come avere fatto un salto nel tempo e nello spazio.
Luoghi sconosciuti che ti si aprono di fronte nella loro quotidianità, facendoti venire la voglia di stropicciarti gli occhi per essere sicura che lì, adesso, ci sei proprio tu.
Kalamata si apre sul mare ed alle spalle l’abbraccia una distesa di olivi argentati. Il centro storico è minuscolo, pulito, tranquillo ed integro. I monumenti non sono molti ma tra loro emerge lo splendore della chiesa Bizantina dei Sacri Apostoli, in pietra color della sabbia.
La gente ed i bambini siedono intorno alla chiesa, sulle sue scale ed i suoi muretti e si rilassano all’aria fresca del tardo pomeriggio. Qualcuno fa la fila per uno spuntino prima di cena. La sensazione di casa è forte.
I greci ci assomigliano: nel senso dell’accoglienza e nel piacere del convivio. Ma anche nella voglia di divertirsi e condividere.
Non per niente sui loro menu, le mezas, ovvero gli antipasti hanno una lista infinita perché a tavola si può stare anche solo per chiacchierare spiluccando dai piattini.
Non so dire. Mi aspettavo di trovare cittadine depresse, strade vuote.
L’effetto è completamente opposto. Non ci sono molti turisti. Pochi direi.
Ma la gente del posto è in strada, nelle botteghe, sta insieme. I negozi destinati ai locali, sono scarni, poveri.
Poi svolti l’angolo e ti si apre la bottega di spezie, carina, con la commessa sorridente e complice che parla volentieri in inglese e ti accompagna nel giro sciorinando il nome di tutte le polveri ed il loro utilizzo. Tu saccheggi il negozio e lei ti regala Ouzo e tavolette di sesamo al miele.
Esci, volendo ritornare.
Non riesco a trattenermi e faccio domande a chi mi capita.
Ma com’è un paese fallito? Cosa succede alle persone?
Qualcuno mi risponde che in campagna non è cambiato poi molto.
L’agricoltura, le terre, la pesca: chi ha la fortuna di avere un terreno ed una barchetta, ha tirato avanti in maniera più o meno dignitosa. Lo sguardo è di chi sta affrontando una prova, ma lo fa senza paura.
L’idea della rinuncia al benessere in un luogo come questo è paradossale.
Probabilmente l’impressione che ho è fasulla, ma se dovessi trovarmi al posto di questa gente, forse avrei il loro stesso sguardo.
Sono sempre più convinta che cercare l’isola sia uno sbaglio.
Quando poi da Kalamata ci spostiamo a Koroni, con un viaggetto di circa un’ora, capisco che nella mia seconda vita scapperò qui.
E forse ci farò il nido.
Lungo il percorso veniamo travolti da una vegetazione lussureggiante: buganvillee, aranceti, girasoli, campanule viola arrampicate su qualsiasi cosa abbandonata, e poi olivi, vigneti, paesini deliziosi.
Superiamo una stazione di servizio con tre pompe di benzina, vecchia ed un po’ sgarrupata.
Sulla pompa centrale, una gentile signora ha appoggiato un vaso di gerani.
Mi viene da ridere di tenerezza. In ogni situazione si cerca di migliorare e trovare il bello.
L’accoglienza a Koroni è di quelle che lasciano il segno per sempre e da cui cercherò di trovare ispirazione nei momenti grigiastri.
La padrona di casa ci coccola con piatti della tradizione ma mi rendo conto di stare facendo il giro del Mediterraneo in punta di forchetta ed il primo pensiero che mi passa per la mente sono le mie amiche blogger, che di fronte alla tavola imbandita, avrebbero un sussulto. Come sta succedendo a me.
Al momento del dolce, la padrona di casa mi racconta in perfetto italiano, la storia di un dolce che viene servito nei momenti speciali, in particolare ai matrimoni.
Si tratta del Diplos, una pasta tirata sottile, arrotolata come un diploma e fritta in olio profondo. Il dolce viene poi cosparso di miele e frutta secca. Con la sua voce gentile mi spiega che il dolce è arrotolato perché la felicità non possa scappare. Io trovo la cosa talmente piena di poesia e romanticismo che, nonostante sia colma di cibo fino all’orlo, ne prendo uno con gratitudine.
Per oggi credo di aver già ricevuto la mia dose di felicità.
Koroni è affacciata sulla punta interna del mignolo della nostro Peloponneso.
Piccola, splendida e quasi sconosciuta, ha un passato recente piuttosto doloroso: durante la seconda guerra mondiale l’intera città fu occupata da Tedeschi ed Italiani che privarono delle case i propri abitanti.
Eppure il centro storico è ancora integro e meravigliosamente suggestivo.
Pochi turisti passeggiano lungo il porto mentre scende il tramonto.
Mi guardo intorno, prigioniera del senso di azzurro.
Cammino sbirciando nei portoni aperti, in cui si intravedono piccole corti fiorite, le botteghine semivuote, le panetterie, le pasticcerie.
Mi soffermo davanti ad un negozio buio, nel quale scorgo un anziano signore seduto su uno sgabello, circondato da montagne di carta, giornali, riviste, oggetti di vario genere appoggiati ovunque disordinatamente. Non ci sono mobili, molte cose sono sparse per terra.
La porta è vecchia, i vetri rotti, nessuna insegna. E’ un’edicola.
Passo oltre sorridendo…qual’è il problema?
Koroni è il posto dove puoi ancora entrare nella cucina di un ristorante, guardare il pesce e scegliere quello che ti piacerebbe mangiare, magari suggerendo la ricetta che ti va sotto lo sguardo divertito del gestore, come un piatto di spaghetti con frutti di mare.
Che è quello che mi vedo servire, perfettamente al dente!
Mentre torniamo verso l’Hotel, diamo uno sguardo agli annunci di vendita case.
Con maggiore attenzione del solito. Per la prima volta mi succede di pensare che qui potrei davvero viverci. Lontano dalla pazza folla, lontano da bisogni creati.
Semplicemente immersa nell’azzurro e nella semplicità.
E già nella mia mente faccio progetti che mi tolgono la malinconia della partenza.
Il distacco non sarà così complicato.
Tanto, prima o poi torno.”

2 classificato:  Armeno, il paese che mi sembrava in capo al mondo di Costantino Ottone:

Cresceva gracile, Costantino: aveva dovuto superare tanti intoppi per venire al mondo.

Per questo godeva di grandi attenzioni!

A fine maggio mia nonna Seta partiva con me dalla Stazione dei treni in mezzo alla campagna.
Si cambiava subito a Borgomanero e si scendeva a Legro, frazione di Orta San Giulio.
Qui ci attendeva il nostro parente, con il cavallo ed il carretto. Se, durante il percorso, il quadrupede faceva i suoi bisogni, occorreva scendere a raccogliere in un secchio le brelle, concime prezioso per l’orto.

Il viaggio terminava ad Armeno, sulle prime pendici della Montagna.

Mi divertivo, in quelle giornate. Al mattino seguivo il padrone di casa a cercare funghi nei boschi sotto il Mottarone. Al pomeriggio una vicina mi prendeva per mano e mi accompagnava ad una siepe di ribes maturi. Me ne facevo sempre una scorpacciata.
E quante corse in un prato disseminato di ranuncoli gialli come il sole!

Armeno era un paese bello e tranquillo, e l’aria che scendeva dal Mottarone un ricostituente per me.
Quando il cielo metteva il broncio, guardavo per ore all’insù, dove le nubi disegnavano autentiche meraviglie d’arte. C’era tanta premura per quel bambino minuscolo e, quando si tornava a casa, mi dispiaceva.
Quella vacanza comportava un viaggio di molte ore, e quella meta mi sembrava, allora, in capo al mondo. Non mi pare vero, adesso che ci arrivo in macchina in qualche decina di minuti.
Lo so per certo, perché, alcuni giorni fa, sono andato a rivedere la Chiesa dell’Assunta, del XII secolo, impreziosita dal dipinto di Fermo Stella da Caravaggio e dagli affreschi del Quattrocento.
Con una rarità assoluta: l’affresco della Trinità tricefala ( tre teste su un unico corpo).
Questa particolare raffigurazione venne condannata da Vescovi, Concilii, Papi e fu grattata via in gran fretta dai muri di tutte le chiese.
Ma qui è rimasta indenne nei secoli.”

3 classificato Borgo del Fiordo di Furore di Teresa De Masi:

“Qualche foto, per provare a raccontare del Borgo del fiordo di Furore (SA). Perché se è la seconda stella a destra ad indicarmi il cammino, io non posso che scegliere di seguirla fino ad un un luogo come questo: un paese che non c’è.
Il borgo del fiordo di Furore non è un paese vero e proprio ma solo un grappolo di minuscole case (monazeni) cresciuto al fianco di una delle pareti scoscese, alle quali si arriva scendendo lungo una serie di scale o di sentieri tortuosi. Questi partono dalla strada costiera – che attraversa il fiordo grazie ad un ponte – oppure da Agerola da dove scendono lungo il sentiero degli dei sino alla spiaggia, cui è sufficiente avvicinarsi perché il mondo estraneo a quel luogo quasi cessi di esistere. Grazie alla conformazione del fiordo, infatti, sulla riva non arrivano altri rumori oltre a quello del mare, del vento e ai versi degli uccelli marini che nidificano sulle rocce a strapiombo.
Una volta percorse le scale, c’è un solo modo per vivere un posto come questo: sedersi sulla riva e fare silenzio. Il rumore delle onde renderà facile chiudere gli occhi per ritrovarsi immersi in qualcosa che assomiglia all’incanto, dove tutti i rumori del luogo lentamente si fondono in un unico suono in grado di catturare chiunque. Non è un caso che Li Galli, che la leggenda vuole siano i corpi pietrificati delle sirene, siano a due passi da qui: perché se in natura davvero esiste un suono simile al loro canto, è in posti come Furore che è possibile riconoscerlo ed ascoltarlo. Per poi rimanerne ammaliati per sempre. Assomiglia ad un sussurro, lieve e persistente, cui è facile abbandonarsi insieme alla sensazione – irragionevole eppure inevitabile – che in buona parte sia formato dalle parole di promessa pronunciate dalle infinite coppie che nel corso di secoli si sono seduti su quei gradini, su quella riva, e rimaste ad aleggiare per sempre nell’aria.
Promesse fatte anche di eternità – sin troppo facili, in un luogo come questo, che all’eterno finisce per assomigliare – forse simili a quelle che nello stesso luogo si scambiarono anche due amanti celebri come Anna Magnani e Roberto Rossellini, che nella primavera-estate del 1948 proprio a Furore alloggiarono mentre giravano alcune scene del secondo episodio del film Amore.
Tanto potente dovette però essere il legame con quei luoghi che Anna Magnani decise di acquistare un’abitazione del borgo (che ribattezzò – con una autoironia rara a quei tempi “Villa della storta“) distante solo pochi gradini dal Monazeno del dottore“, che invece ospitava il regista. Non durò a lungo quell’amore: solo il tempo delle riprese del film. Dopo, nella vita di Rossellini arrivò la Bergman e fu la fine tra lui e la Magnani che abbandonò la casa al suo destino e a Furore non mise più piede.
Ma tutto questo, guardando il mare del fiordo non ha alcuna importanza. Perché a Furore il paesaggio stesso è promessa di eternità, ed è sufficiente vagare con lo sguardo per ritrovare ovunque traccia dello splendore di un sorriso.
E per ritrovarsi a sorridere a propria volta, scoprendo di essere capitati in uno di quei rari posti in cui è sufficiente guardarsi intorno per tornare a credere, anche solo per un attimo, che persino la felicità sia un’eventualità possibile.”

Per la SCENEGGIATURA:

1 Classificato: Saverio Lo Presti, nostro unico videomaker che ringraziamo tantissimo

2 Classificato:  “Primo amore non si scorda mai” di  Simona Fruzzetti:

“Ho viaggiato un bel po’ nella mia vita e molti luoghi mi hanno suscitato emozioni fortissime, ma se dovessi scegliere emozioni fortissime più stupore, sicuramente sceglierei quel viaggio fatto tanti anni fa quando avevo diciannove anni.
Ok, rettifico: tantissimi anni fa.
Fu il primo viaggio all’estero, il primo viaggio in auto più lungo in assoluto, il primo viaggio con il mio fidanzato di allora.
Piccola pausa; andate nella chiesa più vicina, prendete un cero, accendetelo e gridate al miracolo: quel fidanzato, poi diventato marito, tutt’oggi è ancora al mio fianco. Già per questo, non meriterei un premio?
Dicevamo: primo viaggio in assoluto e tutto il mondo da scoprire. Meta scelta…indovinate un po’? Ma la romantica Parigi! Parì oh Parì, con la torre Eiffel, la basilica del Sacro Cuore e la scalinata che porta a Montmartre, i piccioni di Montmartre, le cagate dei piccioni di Montmartre…ma sto scendendo troppo nei dettagli.
In quelle dodici ore di auto ero euforica, galvanizzata, e così eccitata che qualsiasi cosa vedessi la fotografavo. Avete mai provato a fare delle foto dal finestrino aperto mentre la macchina sfreccia a centodieci all’ora? Bene. Avevo un rullino da trentasei di quadri astratti, sfocati e completamente insignificanti. Tipo che le foto potevano essere usate per il test ‘Dimmi cosa ci vedi e ti dirò chi sei, e se hai bisogno di uno bravo’.
Però una volta arrivata a Parigi…lo stupore! L’ho subito amata. Con i suoi profumati croissant, le baguettes sotto il braccio, i macarons colorati, i tavolini all’aperto, la Senna con i Bateaux Mouches …ci mancava solo Lady Oscar e Maria Antonietta e poi sarebbe stata perfetta.
Grazie a questo viaggio ho conosciuto la Metro, che ho imparato a usare perfettamente… dieci anni dopo, sì. Perché lì per lì, davanti a quel poster fatto di linee colorate e nomi francesi, mi imbambolavo manco fossi in preda alla sindrome di Stendhal.
E poi il Museo del Louvre, dove ho potuto ammirare la Gioconda. Ora. Ammirare è un parolone, perché la Monna Lisa tu te la immagini imponente, che ti guarda bella tronfia da una cornice di tre metri per due, invece è piccolina, sapete? E se davanti ci sono dei giapponesi appena scesi da un pullman di ottomila posti, tu puoi solo guardarla se sei campione mondiale di salto in alto, o se riesci a piroettare sulle punte tipo Roberto Bolle. Sennò non c’è verso. Però è stato molto emozionante.
Ho ceduto anche alle insistenze di un pittore di Montmartre che voleva a tutti i costi farmi un ritratto. Evidentemente ero molto bella. Anzi, bellissima. Non è che fanno ritratti a tutti a Montmartre, giusto? Ah. Mi state dicendo che li fanno a tutti. Ah, si guadagnano da vivere così. Effettivamente dovetti pagare…cioè, oggi sta notizia mi ha rovinato la giornata, io ve lo dico. Sono arrivata a quarant’anni vantandomi di essere stata ritratta a Parigi perché mi avevano scambiata per un’attrice di Hollywood. Che delusione.
Vabbè comunque ho altri ricordi molto belli di Parigi, tipo quando siamo andati in visita a Notre Dame nella quale, dopo aver salito tutti i gradini, in cima alla torre ho lasciato un polmone. Sì, okay, il vigilantes mi ha appioppato pure un soprannome: Madam Enfisema, ma anche questi sono sciocchi dettagli. O quando per sentirmi parigina inside mi sono ficcata la baguette sotto braccio per poi gettarla mezz’ora dopo perché mi si era impregnata di sudore che manco una spugna.
E poi la maestosità dell’Opéra di Parigi con il suo tetto verde pistacchio, Place de la Concorde con l’obelisco ornato di geroglifici (che io ho provato a decifrare senza successo e mi domando ancora oggi come diamine io non ci sia ancora riuscita vista la mia preparazione culturale…mah!), l’ Arco di Trionfo e gli Champs-Elysées… è tutto bellissimo a Parigi; così bohémien, con le signorine che sfoggiano il basco sulle ventitré, le luci che, al calar della sera, illuminano le tante mansarde dove immagino poeti comporre poesie struggenti per l’amata, con il battello che scivola silenzioso sulle acque della Senna accompagnando col suo fruscio la passeggiata di due amanti sulla riva.
Parigi è magica, così viva di giorno, così romantica al tramonto, così nostalgica la notte.
Una dama che si lascia scoprire piano piano, misteriosa e un po’ scontrosa, ma con un fascino così potente che, una volta conosciuta, non potrete più dimenticare.
Come il primo amore, del resto.”

3. Classificato Elisa di Rienzo

Elisa Di Rienzo

Seconda stella a destra tornerà tra poco con una piccola sorpresa per tutti.

Per adesso chiediamo ai vincitori di scriverci a questo indirizzo [email protected] per avere l’indirizzo a cui inviare il premio di Pasta Garofalo 

pasta garofalo

E un grazie di cuore a tutti i partecipanti da tutti noi !


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