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Secondo Canto del Furioso, l’Incipit

Creato il 27 maggio 2012 da Postscriptum

 

Secondo Canto del Furioso, l’Incipit

Commenti selvaggi e sproloqui affettuosi sul Furioso ovvero come l’Ariosto mandò tutti a quel paese.

Prima Puntata

Canto II (fino all’undicesimo verso)

1
Ingiustissimo Amor, perché sì raro
corrispondenti fai nostri desiri?
onde, perfido, avvien che t’è sì caro
il discorde voler ch’in duo cor miri?
Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,
e nel più cieco e maggior fondo tiri:
da chi disia il mio amor tu mi richiami,
e chi m’ha in odio vuoi ch’adori ed ami.

2
Fai ch’a Rinaldo Angelica par bella,
quando esso a lei brutto e spiacevol pare:
quando le parea bello e l’amava ella,
egli odiò lei quanto si può più odiare.
Ora s’affligge indarno e si flagella;
così renduto ben gli è pare a pare:
ella l’ha in odio, e l’odio è di tal sorte,
che piu tosto che lui vorria la morte.

 

Come ricorderanno tutti i lettori di questa rubrica ariostesca – e la cosa è detta con ironia – giungeva Rinaldo, mentre Angelica spronava alla fuga il Circasso Sacripante. Quest’ultimo non volendo sfigurare dinanzi alla donzella s’era incaponito di doverlo sfidare a duello, resistendo a tutte le preghiere di Angelica.
 
Ludovico Ariosto inizia il Secondo Canto introducendo il lettore per mezzo del suo commento, un commento che riguarda la situazione amorosa di Angelica e Rinaldo. Non vorrei ripetermi per il lettore dalla buona memoria, dunque mi limito solo nel ricordare che a causa di artifici magici Angelica aveva amato Rinaldo quando questo la odiava ed ora le posizioni si erano diametralmente invertite, da qui le supplicanti preci della bella principessa in favore della fuga. Ma è lo stesso Ariosto a suggerci che in fondo, sortilegi o meno, si cerca sempre ciò che ci è vietato:

Ingiustissimo Amor, perché sì raro
corrispondenti fai nostri desiri?

Il/La ragazzina/o del banco accanto, alle medie, ardeva sempre d’amore per qualcun altro/a, e quasi sempre noi stessi siamo stati carnefici di qualcun’altra/o. Chissà quanti bruchi poi son diventati farfalle e i carnefici son rimasti a mozzicarsi le mani.

onde, perfido, avvien che t’è sì caro
il discorde voler ch’in duo cor miri?
Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,
e nel più cieco e maggior fondo tiri:
da chi disia il mio amor tu mi richiami,
e chi m’ha in odio vuoi ch’adori ed ami.

Ma sono problemi che oltrepassano l’ambito strettamente amoroso, a pensarci bene. Vogliamo sempre ciò che non dovremmo. Mi ripeto in qualche modo. Andiamo a votare e votiamo sempre per coloro che ci oltraggiano, a qualunque fazione politica appartengano. No, non mi metterò ad elencare nomi o a descrivere lo scempio di questo montiano periodo in cui si sprecano le alleanze improponibili, almeno parimenti alle brutte figure dei presunti coerenti. Non ho neanche voglia di ricordare che in Sicilia, a furia di perseguire il peggio, non c’è più verso di individuare il meglio. Agnelli e lupi pascolano insieme e a quanto pare anche gli ovini sono passati dal dentista per farsi impiantare i canini. Non ho fiducia alcuna in pecore ed agnelli, non ci si può fidar dei vili. Ho voglia di moderni furiosi. No, non me la sento per nulla di avversare l’unica voce contro in questo panorama (inter)nazionale di autolesionista compiacenza. Sento la necessità di leali scontri dialettici (politica), non di accordi insussitenti, di false azioni condivise.

D’altronde anch’io…

mi sento sempre fuori posto
come un applauso fuori tempo,
come una suora in mezzo al bosco..

Ho gli emisferi destro e sinistro,
sinistro e destro contro di me…

Intendiamoci, ai dottori preferisco comunque le quasi invisibili formiche. Moltitudini di formiche, di questo forse abbiamo vero bisogno.

Degli odierni attori politici (in senso televisivo e parlamentare intendo) mi diceva un amico: “una volta fingevano di essere amici e invece litigavano davvero, ora fingono di litigare e in realtà sono d’accordo.” Scegliamo sempre il peggio perché ci attrae, non c’è altra spiegazione. Salutiamo i “galantuomini” per strada con riverenze persino eccessive, gente cui importa ben poco del nostro riguardo. Poi, sotto sotto, mal diciamo con gli amici:

“Bellu strummientu ca è chissu! Si meritassi na pirata nna n’puostu ca ricu ju!”

Continuando comunque a salutare, riverire, votare, accondiscendere. Sino a quando poi, mentre questo peggio dilaga, non ci resta che litigare tra noi. Come capitava a Rinaldo e Sacripante:

3
Rinaldo al Saracin con molto orgoglio
gridò: – Scendi, ladron, del mio cavallo!
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,
ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:
e levar questa donna anco ti voglio;
che sarebbe a lasciartela gran fallo.
Sì perfetto destrier, donna sì degna
a un ladron non mi par che si convegna. -

Rinaldo rivuole il suo cavallo, che nel canto precedente aveva deciso di andarsene a zonzo per i boschi, da solo. Il Chiaramente già che c’è chiede anche la pulzella. Sacripante gli risponde a tono:

4
– Tu te ne menti che ladrone io sia
(rispose il Saracin non meno altiero):
chi dicesse a te ladro, lo diria
(quanto io n’odo per fama) più con vero.
La pruova or si vedrà, chi di noi sia
più degno de la donna e del destriero;
ben che, quanto a lei, teco io mi convegna
che non è cosa al mondo altra sì degna. -

E dopo le dure parole si passa alla cagnara:

5
Come soglion talor duo can mordenti,
o per invidia o per altro odio mossi,
avicinarsi digrignando i denti,
con occhi bieci e più che bracia rossi;
indi a’ morsi venir, di rabbia ardenti,
con aspri ringhi e ribuffati dossi:
così alle spade e dai gridi e da l’onte
venne il Circasso e quel di Chiaramonte.

La scena è già abbastanza ironica: questi due che si abbaiano addosso, mentre Angelica sconsolata li osserva. Ma sicuramente non avrà ignorato i versi successivi il maestro Monicelli (Santo Monicelli aiutaci tu, toglici oggi le nostre fiction quotidiane), immaginando le baruffe tipiche del suo Brancaleone. Baiardo non avrebbe mai potuto arrecar danno al suo proprietario, così gioca con il suo cavaliere provvisorio. Esegue l’inverso degli ordini impartiti, gironzola, lo prende in giro:

6
A piedi è l’un, l’altro a cavallo: or quale
credete ch’abbia il Saracin vantaggio?
Né ve n’ha però alcun; che così vale
forse ancor men ch’uno inesperto paggio;
che ‘l destrier per istinto naturale
non volea fare al suo signore oltraggio:
né con man né con spron potea il Circasso
farlo a voluntà sua muover mai passo.

7
Quando crede cacciarlo, egli s’arresta;
E se tener lo vuole, o corre o trotta:
poi sotto il petto si caccia la testa,
giuoca di schiene, e mena calci in frotta.
Vedendo il Saracin ch’a domar questa
bestia superba era mal tempo allotta,
ferma le man sul primo arcione e s’alza,
e dal sinistro fianco in piede sbalza.

Sacripante rinuncia al vantaggio presunto del destriero e scende da cavallo, qui comincia la vera sfida dei due improbabili eroi. Questo è il punto della vita, in fondo. Siamo tutti inverosimili cavalieri di un destino ironico, condotti alla pugna, l’un contro l’altro per mero gioco. Occorre solo capirlo e successivamente porre da parte i motivi del litigio. Certo non è il caso di codesti di cui si parla:

8
Sciolto che fu il pagan con leggier salto
da l’ostinata furia di Baiardo,
si vide cominciar ben degno assalto
d’un par di cavallier tanto gagliardo.
Suona l’un brando e l’altro, or basso or alto:
il martel di Vulcano era più tardo
ne la spelunca affumicata, dove
battea all’incude i folgori di Giove.

9
Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi
colpi veder che mastri son del giuoco:
or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,
ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,
ora crescer inanzi, ora ritrarsi,
ribatter colpi e spesso lor dar loco,
girarsi intorno; e donde l’uno cede,
l’altro aver posto immantinente il piede.

10
Ecco Rinaldo con la spada adosso
a Sacripante tutto s’abbandona;
e quel porge lo scudo, ch’era d’osso,
con la piastra d’acciar temprata e buona.
Taglial Fusberta, ancor che molto grosso:
ne geme la foresta e ne risuona.
L’osso e l’acciar ne va che par di ghiaccio,
e lascia al Saracin stordito il braccio.

11
Quando vide la timida donzella
dal fiero colpo uscir tanta ruina,
per gran timor cangiò la faccia bella,
qual il reo ch’al supplicio s’avvicina;
né le par che vi sia da tardar, s’ella
non vuol di quel Rinaldo esser rapina,
di quel Rinaldo ch’ella tanto odiava,
quanto esso lei miseramente amava.

L’ultimo colpo di Rinaldo è stato potente e mette in serio pericolo l’illibatezza della principessa. Angelica lo sa, Rinaldo gli salirà addosso. Che fare?

Gaetano Celestre


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