Foto di Patrick Colgan
Ciao Patrick, è un piacere averti qui a Crazy About Fiction! Ho letto il tuo libro e vi ho trovato aria di Giappone in ogni pagina. Il tuo blog mi ha rapito con le sue bellissime immagini e la moltitudine di informazioni contenute.Veniamo ora alle domande che ho preparato per te man mano che leggevo il tuo libro, in questo modo potremo conoscerti un pochino di più...Vi ricordo che tutte le foto che vedrete in questa intervista sono foto che l'autore del libro mi ha gentilmente mandato. Grazie Patrick per il contributo che hai dato, bellissime foto, complimenti.
D. Come ci si appassiona ad un paese in particolare?R. Non lo so. E' qualcosa che senti, che è come un'infatuazione, che può diventare un innamoramento. Può essere scatenata da qualcosa in particolare, come un paesaggio, un momento, un incontro. O da qualcosa di più insondabile, che non sai spiegare. Mi è avvenuto diverse volte, come in Turchia, Islanda, Norvegia, mentre altri Paesi, pur bellissimi, non hanno toccato le corde giuste. Ma ogni amore va coltivato. Con il Giappone l'ho fatto.
D. Quando hai deciso: ora parto, vado in Giappone?R. Non avevo un interesse particolare per questo Paese. Molta gente si dice appassionata di Giappone, a volte in modo esagerato, anche senza esserci mai stata, perché è un Paese che ha una produzione e un'influenza culturale forte, da fumetti a cartoni animati fino al cibo. Per me è stata una scelta quasi casuale. Avevo già visto alcuni pezzi di Asia, come l'est della Turchia e l'India. E volevo vederne un altro completamente diverso.
Foto di Patrick Colgan
D. Nel tuo libro, se non sbaglio verso l'inizio, un nostro connazionale che vive e insegna italiano in Giappone ti pone un'importante domanda: cosa ti piace del Giappone? I giapponesi è la risposta che ti da, ignorando la tua risposta. Ma come sono questi giapponesi? Perché esercitano tanta curiosità in noi?R. Trovo difficoltà a rispondere, anche perché non vorrei dire sciocchezze. Come scrive Paul Theroux chi scrive di viaggi è costretto a generalizzare da dati scarsi.Penso che in tutti i viaggi l'aspetto più prezioso sia l'incontro con l'altro. E spesso ad affascinarci è proprio quanto è più diverso da noi. E la mentalità e la cultura giapponesi sono molto diverse, ermetiche, incomprensibili a volte. Gli opposti si attraggono, forse, e per questo ho trovato molta curiosità nei confronti dell'Italia e degli italiani.E poi affascina la forma in cui vengono fatte le cose, e in questo Paese la forma è fondamentale, dal modo di mangiare al modo in cui si fa shopping; dà alle volte la sensazione di assistere a una rappresentazione teatrale. E' un aspetto che rapisce i turisti, mentre gli stranieri che vivono in Giappone lo trovano frustrante. E poi in questa società così rigida e piena di regole, si aprono spazi di diversità, assurdità, "follia" inaspettati. Lo trovo incredibile.Spesso in Italia si riscontrano infine stereotipi che vogliono i giapponesi chiusi, riservati. Non è così, naturalmente, ho conosciuto persone di grande calore, umanità, sensibilità, generosità, che amano stare assieme, ridere, divertirsi.Foto di Patrick Colgan
D. Ho notato anche dal tuo blog che Kyoto è il luogo al quale sembri essere più legato, mi sbaglio? Se dovesse essere così, qual è il posto del Giappone che più ti piace?R. Sì è sicuramente Kyoto. E' una città molto grande - e ha anche delle periferie piuttosto brutte - ma che ha luoghi di grande bellezza. E non sono solo quelli da cartolina, di cui è addirittura straripante. Ha degli angoli dove sembra di fare un viaggio nel tempo. Ha una cultura tradizionale molto forte. E a volte camminando si scoprono momenti di perfezione in templi o giardini completamente dimenticati dalle guide e dai turisti (ne ha 1.500, è facile che succeda). E poi è una città piacevole, umana: il centro si gira in bici, ci si cammina volentieri. E ha una sua innegabile armonia che lo sviluppo urbano ha solo intaccato: è abbracciata da fiumi, circondata da montagne, boschi, foreste di alberi e di bambù che cominciano appena dopo la fine dei palazzi. Kyoto ha una bellezza del tutto particolare.D. Hai mai pensato di trasferirti?R. Seriamente no, anche perché non è affatto facile. Ogni tanto ho immaginato come sarebbe viverci sei mesi, o magari lavorarci, aprire un'enoteca a Kyoto per esempio ( il vino è un'altra mia passione ). Non so se sarebbe la stessa cosa. E' un paese che è amato dai viaggiatori, estremamente accogliente, ma che chiede molto a chi ci vive e del quale uno straniero non farà mai davverp parte. Lo scrittore Pico Iyer, che vive da 25 anni a Nara, vicino a Kyoto, srive per esempio, con un pò di sofferenza, che non ha mai smesso di sentirsi straniero.
Cliccate qui per l'intervista in questione che Patrick ha gentilmente incluso nella sua risposta. Grazie! Molto interessante...
Foto di Patrick Colgan
D. La loro è una società sempre in movimento. Interessante scoprire che il 78% della popolazione ora vive nelle città metropolitane. Ma c'è una frase che mi ha colpito moltissimo all'interno del tuo viaggio quando parli di ramen che recita "...il mangiatore di ramen si distingue anche dalla velocità. E' un orgasmo rapido ma furibondo...". Può essere il ritratto della società nipponica?R. Si tratta di una percentuale vecchia, ma credo che sia ancora attuale. C'è Miho Okai una ceramista e scrittrice giapponese che vive a Faenza, dove lavoro, che mi ha mostrato un libro per bambini che ha realizzato per il Giappone e parla dei piccoli paesi italiani, di come i piccoli paesi e le loro comunità siano belli, mostrando alcune semplici situazioni di vita quotidiana. In Giappone, come poi in Italia in realtà, i paesi si stanno spopolando.Venendo al ramen, non credo però che la velocità con cui viene mangiato da certi "professionisti" possa essere un ritratto della società nipponica. Anzi, quello è proprio un momento in cui ci si lascia andare, in cui ci si scompone un po', mentre la società giapponese, presa nel suo complesso, ha semmai eccessivi problemi di rigidità e conformismo. Penso alla politica e al mondo dei media, al mondo del lavoro, almeno per come mi viene raccontato. Però non credo di esser titolato per parlarne, andrebbe chiesto a uno studioso.Foto di Patrick Colgan
D. Nel tuo racconto si scoprono retroscena e traumi che ancora non hanno rimarginato alcune profonde ferite come Hiroshima e lo Tsunami del 2011. Nel leggere queste tue esperienze, oltre a reputarle di un interesse pazzesco, ho notato uno stile giornalistico ( mi riferisco al fatto che hai parlato con persone del luogo e hai raccontato delle "gru di carta" di Sadako Sasaki ) che forse ti appartiene. Quanto il tuo lavoro ti ha aiutato nel descrivere queste situazioni in modo conciso ma profondo?R. Sicuramente il lavoro ha influito, così come il fatto di avere un blog. L'idea di scriverne al ritorno mi dà lo spunto per organizzare il viaggio in un certo modo, approfondito, come se dovessi realizzare un reportage. E mi piace moltissimo farlo. Mi documento, cerco contatti, cerco cose interessanti da fare o da vedere, per poi poterle raccontare, cos' come quando ho organizzato alcuni incontri nella zona colpita dallo Tsunami - che ho poi raccontato in un articolo sul mio giornale - o quando grazie a una guida locale, Shinji Nohara, ho avuto modo di parlare con alcuni personaggi interessanti del mondo gastronomico a Tokyo, che sono raccontati nel blog ( per esempio qui ). E' un modo di viaggiare che poi ha aiutato quando mi è stato proposto di scrivere un ebook. Avevo già molto materiale.Però non posso fare un lavoro giornalistico vero, chiedere accrediti o interviste: per farlo in molti casi Paesi - Giappone compreso - avrei bisogno del visto.Foto di Patrick Colgan
D. In un passaggio leggo che in Giappone tutti studiano inglese ma nessuno lo parla per la paura di fallire, imbarazzo, fallimento, disciplina e pazienza sono ricorrenti nel tuo libro. Quanta importanza viene data nella società al successo e al contributo dell'individuo? E tutto questo, quanto pesa sullo stato di serenità del giapponese?R. E' un tema molto complesso, servirebbe un libro per rispondere e non credo di avere gli strumenti per farlo. Nella società il contributo del singolo alla collettività è fondamentale, discende anche dal confucianesimo e anche per questo manifestazioni politiche e scioperi sono fenomeni molto limitati. Mi limito a osservare come il comportamento delle persone in privato e in società sia estremamente diverso.D. Quali sono le contraddizioni più evidenti del paese del Sol Levante?R. Qui forse pecco di banalità, ma sicuramente spicca la compresenza di modernità e di una forte cultura tradizionale. C'è chi sostiene che sia solo forma, ma sono convinto che non sia così. E' quello che succede in un Paese isolato per millenni e che poi ha avuto almeno due periodi di forte modrnizzazione imposta.Mi è capitato di incontrare templi in mezzo ai monti e alle foreste che avevano il wi-fi e una pagina facebook. Mi è capitato di esplorare un monte sacro su una bici elettrica. E poi ci sono gli spazi che io chiamo di "follia" che si aprono in questa società così dura, rigida. E' come se in una società più c'è rigidità, più si approfitta in modo estremo degli spazi di libertà concessi. Da qualche parte avevo letto che non c'è nessuno pazzo come un giapponese pazzo. E' una definizione che mi fa ridere, ma credo sia vero.E' anche un Paese con forti chiaroscuri. Spesso chi ama il Giappone fa finta di non vederli, ma ce ne sono molti, per esempio una cultura fortemente maschilista e una gerarchizzazione della società, solo per citarne due.
D. Quante volte vai in Giappone in un anno? Stai studiando ancora la lingua?R. Almeno una volta all'anno, in tutto sette finora. Ma ci sono stati anni in cui ci sono stato due volte, approfittando di voli molto economici e yen basso. La lingua la sto ancora studiando, anche se con meno intensità rispetto ad anni fa. Ma cerco di mantenerla, ascoltando podcast, andando a lezione da un'insegnante una volta al mese e ogni tanto rispolverando gli ideogrammi che con molta fatica sono riuscito a imparare e che non voglio perdere.
Foto di Patrick Colgan
D. Cosa distingue un turista da un viaggiatore?R.Non so se è una distinzione che ha senso e mi è capitato di assistere a polemiche assurde su questo tema. Capita a tutti di essere sia una che l'altra cosa e comunque io non mi posso certo paragonare a certi viaggiatori che hanno per esempio mollato tutto per attraversare l'Asia via terra nell'arco di un anno. Se ci sono veri viaggiatori sono loro. Paul Theroux - lo cito sempre, ma del resto è uno dei miei scrittori preferiti - dà una definizione un po' drastica, tranchant: "I turisti non sanno dove sono stati, i viaggiatori non sanno dove stanno andando". Forse c'è del vero, ma fra i due poli ci sono anche una serie di sfumature.D. Quali sono i tuoi consigli per affrontare un viaggio in modo che possa arricchirci?R. Secondo me sta tutto in una parola, umiltà. Umiltà significa viaggiare cercando di capire, mettere in dubbio le proprie convinzioni, le proprie certezze. Questo non significa rinunciare ad alcuni punti fermi, che per me sono il rispetto per la libertà e la dignità umana che purtroppo in alcuni Paesi non sono garantiti. Però significa che apprezzo il viaggio soprattutto quando mi instilla dei dubbi.
D. Nella tua bio dici che sapere le lingue ti avvicina alle pesone e alle loro culture. Lasciami dire: grandissima verità! Come sei arrivato, però, a pensarla così?R. Questa domanda si collega a quella precedente credo. Secondo me c'è un po' di arroganza nella pretesa che la nostra lingua o l'inglese debbano per forza essere compresi, che io debba poter usare le posate europee ovunque o trovare cibo che conosco, rassicurante, all'altro capo del mondo. Tanto valeva stare a casa e guardare delle foto, no?Comunque imparare un po' di lingua, quando è possibile, è sempre molto apprezzato e tende a ben disporre le altre persone. E poi anche poche parole permettono una comunicazione. Conoscendo semplici espressioni come "bello/buono", "lento/veloce", "caldo/freddo", "destra/sinistra" si può già trasmettere un significato, capirsi. E bastano dieci minuti per impararle. Qualche volta non si fa nemmeno questo minimo sforzo.Il vero problema è con alcune lingue particolarmente difficili, come quelle asiatiche. In Laos, come in Thailandia, ci sono numerosi toni in cui puoi pronunciare una sillaba e il significato cambia completamente. E per impararli servono tempo e orecchio. E' l'unica volta che mi sono un po' arreso.
D. Avendo un blog che parla di libri non posso non farti questa domanda: cosa e quanto leggi?R. Per me è una grandissima passione e cerco di leggere almeno un paio di libri al mese. Vado a periodi, fermo restando che amo alcuni autori come Haruki Murakami e Roberto Bolano e che a volte recupero dei classici, nell'ultimo anno ho letto moltissimi libri di viaggio. Ho approfondito Paul Theroux, fra gli italiani ho scoperto , apprezzato e letto Davide Sapienza, che ha una scrittura molto profonda e originale. E poi ci sono i libri legati ai Paesi nei quali ho viaggiato. Se scorro l'elenco dei libri letti su Anobii ( se qualcuno mi vuole venire a trovare basta cliccare QUI ) vedo che ci sono periodi legati a Cuba o ai Balcani per esempio. I viaggi a volte iniziano proprio in un libro, o è lì che continuano al ritorno.
Foto di Patrick Colgan in un Capsule Hotel
D. Hai intenzione di scrivere altri libri di viaggio? Se sì, possiamo sapere cosa stai preparando?R. Sicuramente sì. Vorrei organizzare un viaggio importante per scriverne. Ma non succederà prima di un anno, come minimo. Però sono al lavoro su due progetti in qualche modo legati ancora al Giappone.D. Un'ultima domanda: da questo tuo racconto di viaggio la mia mente malata da amante della fiction, ha notato mille spunti per un possibile romanzo, ci hai mai pensato?R. Sarei curioso di sapere quali sono questi spunti! Ho scritto tante prime pagine, ma poi non sono mai andato avanti. Sono lì, che mi aspettano. Però sinceramente non so se ho l'immaginazione che serve a un romanziere. Il viaggio è anche questo, un modo per far lavorare la mia immaginazione, per nutrirla, riempirmi di idee e, sì, magari diventerà lo spunto per una storia. Quando viaggio la mia mente sembra andare al doppio, al triplo della velocità.
C.A.F. Patrick è stato un vero piacere aver avuto la possibilità di fare due chiacchiere con te e conoscerti un po' di più, tienimi aggiornato su ciò che scriverai! Nel frattempo continuerò a visitare il tuo blog...
P.C. Prego, e grazie a te per aver letto il mio libro e aver pensato di rivolgermi queste domande!