Su questa base nasce e cresce una creatura che si deforma un minuto dopo l’altro, in cui ogni personaggio rappresenta una cellula malata di un organismo autoimmune. In breve, la storia è questa. Agnese (Stefania Sandrelli) è incinta di Peppino (Aldo Puglisi), fidanzato ufficiale della sorella. Per coprire il disonore che colpirebbe la sua famiglia se il paese lo scoprisse, il padre di Agnese (Don Vincenzo / Saro Urzì) elabora un piano che si complica strada facendo e che sfocia nella decisione fatale: commissionare a suo figlio Antonio (Lando Buzzanca), fratello di Agnese, il delitto di Peppino. Fallito anche questo tentativo, rimane una sola scelta basata su un altro principio cardine della mentalità paesana da Nord a Sud, qui simboleggiata dalla Sicilia: il matrimonio estingue ogni reato. Peppino dovrà fingere di rapire Agnese, davanti a tutti i compaesani, per essere poi costretto a sposarla e a salvare l’onore della famiglia della sposa, abbandonando però definitivamente la propria dignità.
I punti di forza di questa sceneggiatura sono tanti: il soggetto è attuale e scottante per l’epoca, e lo sarebbe anche adesso, con buona probabilità; la caratterizzazione dei personaggi tragicomici, crudeli e ingenui insieme, rimane in equilibrio tra la satira, la parodia e la verità: parodia per chi non conosce da vicino quella realtà, e verità per chi ci è abituato; l’intreccio complesso e ancora più complicato nella parte finale vive di un’alternanza tra ritmi blandi e accelerazioni, che paiono condurre alla risoluzione di un conflitto in un certo modo ma cambiano improvvisamente rotta, raggiungendo ancora una volta il connubio aristotelico: svolta inaspettata ma necessaria.
Paolo Ottomano
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