In vista del Convegno ecclesiale di Firenze, che si terrà dal 9 al 13 novembre prossimo, quelle che i media chiamano le cinque “terapie”, cioè cinque verbi o punti fermi sono rivolti da Papa Francesco alla Chiesa italiana tutta e lo sono, ovviamente, secondo il suo stile.
Essi scaturiscono da quanto già ben esplicitato dal pontefice, a suo tempo, nell’Evangelii gaudium e negli Orientamenti pastorali del decennio sull’educazione.
Noi laici, che siamo ugualmente Chiesa, siamo chiamati , quanto e più lo sono gli stessi presbiteri, a una riforma necessaria e indispensabile e a un impegno dal quale non possiamo più derogare se vogliamo essere ritenuti credenti credibili.
E se, soprattutto, desideriamo concorrere, mettendoci del nostro, a un cambiamento esigito dai tempi attuali.
Da un’analoga quant’anche differente angolazione, e per quello che può e deve essere il nostro ruolo, non confondibile, cioè che non sarà mai quello della fotocopia del prete, ecco come possiamo, con buona volontà, leggere quelle medesime indicazioni e metterle in pratica .
[Uscire]
Per noi laici credenti significa liberarci da falsi alibi, che fanno da impedimento all’andare, e calarci tra la gente per individuare proprio lì quelli che sono gli autentici bisogni, che necessitano, con urgenza immediata, di risposta.
E, insieme, riscoprire il piacere della condivisione. Perché essa, la condivisione, arricchisce più di quanto non si possa immaginare in termini di “ritorno” di umanità.
Chiedere a chi ha già sperimentato.
E si scopre, alla fine, che nel nostro vicino, o nel lontano, non sono poi neanche così tanto pochi coloro che ne hanno fatto esperienza.
[Annunciare]
L’unico modo che noi laici abbiamo per fare un annuncio efficace è dare testimonianza in prima persona (essere cioè credibili),e senza timore d’inciampo o di derisione, di quanto appreso attraverso le “parole” e le “opere” di Gesù di Nazareth (se gli insegnamenti ricevuti fin da bambini sono stati veri e nient’affatto scimmiottature di modelli imposti da consuetudini familiari o altro).
E l’annuncio implica, com’è ovvio che sia, l’abbandono della “torre d’avorio” e delle nostre consuete comodità, cui spesso riconosciamo che è molto difficile rinunciare.
[Abitare]
Esso è ancora, per noi credenti laici, un richiamo all’uscita e all’annuncio- testimonianza.
I tre verbi, infatti, sono concatenati. Perché abitare significa essenzialmente stare con gli altri per conoscere bene quelli che sono o che possono essere i bisogni e le urgenze più impellenti.
Penso a barboni,a sbandati, a prostitute, a drogati, a disoccupati, a immigrati, a disabili, etc.
Soltanto dalla conoscenza può scaturire l’azione concreta, la fattualità. Un atto che diviene fatto.
Un fare che per l’altro è e deve essere accompagnamento e crescita per gradi.
Quindi per il laico credente impegnato nessuna diserzione, e per nessuna ragione, è ammessa né dal contesto sociale né dal contesto politico.
In quanto noi tutti, di necessità, siamo immersi nel sociale e nel politico. Negativo e comodo sarebbe trincerarsi dietro una spiritualità astratta. Bisogna, invece, imparare a sporcarsi le mani.
[Educare]
E’ il verbo senza dubbio più impegnativo in quanto include nelle sue articolazioni molti ambiti.
E ogni ambito è più complesso dell’altro (famiglia, scuola, ambiente, legalità, comunicazione etc...)
E questo educare noi non possiamo assolutamente farlo con saccenteria.
Saremmo subito lasciati da soli.
Dobbiamo imparare, semmai, a farci piccoli con i piccoli. Cioè a saper accogliere chi, come in questo caso, può provare persino imbarazzo e cercare di condividere con lui piuttosto che calare dall’alto un sapere che presume.
[Trasfigurare]
E’ l’opera conclusiva e la più bella. Se tutto avrà funzionato in sequenza, sapremo muoverci adeguatamente nella realtà del nostro mondo. Nel mondo vicino e nel mondo lontano.
Sapremo fare le corrette valutazioni e distinguere ciò che è bene da ciò che è male. Riusciremo a estrapolare il bene anche lì dove il male parrebbe avere il sopravvento.
La preghiera, la messa domenicale, i sacramenti, tutto allora sarà osservato e letto in una luce che è autenticamente spirituale.
E lo Spirito non sarà mai “aria fritta”,né un blà blà fatto di parole, ma guida concreta e presente in ogni passo del cammino nostro e di ogni altra persona, che è con noi.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)