Lui visse l’affanno e l’arsura
come pegno per evitare
l’abiura, un rito di passaggio
per prepararsi al peggio.
Il tempo beffardo gli scivolò
nel campo vario ed eventuale
delle probabilità, nel tardo
lume finale, carsico fiume.
Lui visse l’incanto feroce
nel lamento di un Dio senza
voce, lettera morta e sepolta
dall’indulgenza della maschera.
Visse gli auspici ignaro di quanto
fossero ostici a realizzarsi,
amaro calice, partita persa
nel porsi in attesa infinita.