Seneca
Il risultato delle elezioni ha sparigliato le carte in maniera violenta. Probabilmente neanche all'interno della sinistra si aspettavano un esito tanto positivo, perfino migliore dei loro auspici.
La speranza è che adesso il PD, che bene o male rappresenta il fulcro dell'intera area politica, non trascorra i giorni che ci separano dai ballottaggi impegnato in profonde masturbazioni politiche e lotte intestine anziché continuare la campagna elettorale per sostenere i candidati rimasti, soprattutto Pisapia e De Magistris, che del PD non sono ma che possono essere i chiavistelli per far definitivamente saltare la cappa berlusconiana-leghista.
Le urne hanno consegnato l'ennesimo messaggio da parte dell'elettorato del centro-sinistra a coloro che dovrebbero esserne gli esponenti. Se è vero com'è vero che gli elettori sono tanto più propensi a votare per un partito o una coalizione quanto più esso rappresenta il loro pensiero e le loro aspirazioni, allora basta leggere e confrontare i numeri tra loro per capire che la soluzione per avere una chance di battere Berlusconi è a portata di mano. Prendiamo l'esempio delle città del nord. Le primarie hanno visto competere anche duramente candidati provenienti da partiti diversi, ma il vincitore è stato sostenuto attivamente da tutti i componenti dell'alleanza, e la cosa ha avuto effetti positivi non solo per il candidato sindaco ma anche per i singoli partiti. A Milano Pisapia ha fatto il pieno, ma il PD è diventato il primo partito cittadino, superando perfino il PdL, che nella situazione attuale equivale a vincere 2-0 fuori casa. Lo stesso Pisapia ha dimostrato che l'equazione sinistra=comunisti propinata dai berluschini non funziona più e, anzi, ha perfino stancato gli stessi elettori tendenzialmente di centro-destra. Le primarie, saggiamente introdotte dallo stesso PD e poi regolarmente osteggiate, si rivelano per l'ennesima volta uno strumento formidabile per la costruzione del consenso e per la definizione degli equilibri interni della coalizione. In barba agli inciuci e ai giochini di potere tanto cari a Massimo D'Alema. A Napoli, dove si è scelto di passare per una strada diversa dalle primarie di coalizione, il risultato è stato puntualmente diverso. De Magistris ha battuto il candidato del PD raccogliendo molti più voti del cartello elettorale che lo sostiene. È probabile che abbia raccolto le preferenze di persone che hanno comunque accordato il loro voto a partiti diversi, presumibilmente PD, SEL, M5S e forse anche il Terzo Polo, i cui candidati, infatti, hanno ricevuto meno consensi dei partiti alle loro spalle.
A questo punto tramonta, forse, anche l'idea della grande coalizione a livello nazionale, avanzata qualche tempo fa come estrema misura per liberarsi dell'anomalia berlusconiana, ristabilire per quanto possibile delle condizioni democratiche e ripresentarsi al voto. A giudicare dai risultati delle elezioni, quest'ipotesi dovrebbe interessare forse solo il Terzo Polo, scopertosi relativamente impotente. A questo proposito, sarebbe interessante discutere su quanto sia convenuto a Fini appiattirsi sulle posizioni centriste di Casini e Rutelli, piuttosto che perseguire l'obiettivo che si era posto rompendo il giogo del PdL, ossia quello di una nuova destra laica e moderna di stampo europeo alternativa al partito del capo.
Gli elettori hanno dato una risposta alla domanda che il PD si è posto troppe volte dall'atto della nascita, quella sulla propria identità. Mai come adesso appare vicino l'obiettivo per cui si è costituito il Partito Democratico, ossia riunire i progressisti in un'unica formazione politica. Adesso tocca all'alleanza tra PD, IdV e SEL prendere coscienza del proprio peso come coalizione, presentare un insieme di programmi condivisi e di possibili candidati e poi lasciare scegliere i propri elettori. Senza berlusconismi, a meno di non voler correre il rischio di veder vincere di nuovo l'originale.