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Melania G. Mazzucco con “Sei come sei” (Einaudi) conferma di essere la grande scrittrice già manifestatasi in Vita, romanzo vincitore del Premio Strega edizione 2003, e in Un giorno perfetto, libro del 2005 da cui il regista turco Ferzan Ozpetek ha tratto l’omonimo film.
“Sei come sei” contiene una evidente discrasia fra la assoluta bellezza del linguaggio, lo stile elegante, l’accuratezza delle immagini descritte, la terminologia forbita, i colti riferimenti storici, architettonici e pittorici, gli incantevoli tratti di penna sui quartieri romani e sulla ruvidezza affascinante dell’Armenia, i dettagli intriganti di cui è costellata la narrazione, l’intelligente uso morigerato dei dialoghi diretti per preferirvi quelli indiretti, e l’aspetto contenutistico che sposa tesi etico-comportamentali discutibili.
Apparentemente l’Autrice è distaccata dal proprio prodotto intellettuale, inzuppato invece di posizioni marcate a favore dei matrimoni omosessuali anche con prole, guardando benignamente la Mazzucco alla surrogazione di maternità e al c.d. utero in affitto.
Lo stesso prologo del racconto lascia sconcertati: la protagonista dodicenne Eva (“non racchia, neanche figa – strana. C’è in lei qualche cosa di sfuggente, singolare”), alla sottrazione della foto che ritrae i due “padri” - di cui uno, Christian, è deceduto a seguito di incidente automobilistico - reagisce spingendo virulentemente il compagno di classe, Loris, reo del “furto”, sotto i binari di un treno, fortunatamente fermo. Il ragazzo non morirà, finendo fra i lungo degenti in ospedale: questo lo si comprende, però, soltanto alla fine, come se la morte o meno del ragazzo sia un dettaglio ininfluente e trascurabile per Eva e la sua coscienza, troppo presa a cercare di raggiungere l’altro “padre”, Giose, cantante rocchettaro, autore del brano da cui prende spunto il titolo del romanzo. Sembra quasi che alla adolescente e, per il suo tramite, alla Mazzucco, non interessi tanto di Loris e della sua sorte. Non emerge alcun pentimento o resipiscenza in Eva per ciò che, fra il volontario e l’involontario, ha compiuto. Appare che la condotta di Loris e dei suoi compagni di branco, creatori di una infame pagina facebook contro Eva e la sua “famiglia”, meriti quella “spinta”. Si mostra troppo indulgente l’atteggiamento di tutti i personaggi della storia, a partire da quello di Giose e della madre di Loris.
Eruditi e stuzzicanti i due escamotage adoperati dalla Scrittrice per introdurre la storia e per spiegare l’insorgenza del desiderio di paternità in Christian (raffinato ed erudito) e in Giose (rozzo e sessualmente maggiormente disinibito).
Dionysius Exiguus (Dionigi il piccolo, VI sec D.C.) ha inventato la misurazione del tempo storico prendendo a riferimento la nascita di Cristo, ma sconosceva l’anno zero, passando il suo sistema dall’anno 1 A.C. direttamente all’anno 1 D.C.: Eva colloca se stessa e la cronaca dei fatti nell’anno 0, ossia nel lasso temporale che non esiste.
Christian e Giose sono compulsati verso un forte sentimento filiale dalla visione della tela di Francisco de Herrera il Vecchio raffigurante San Giuseppe con Gesù nel Szépmuvészeti Muzeum di Budapest. Il dipinto trasuda amore paterno per il Santo Bambino, generalmente raffigurato insieme alla Vergine Maria.
La paternità della coppia gay sarà finalmente realizzata grazie all’utero di una donna armena ben remunerata, che genererà Eva a seguito dell’impianto in esso di un embrione, frutto della “fusione a freddo” dello spermatozoo di Christian con l’ovulo di una sconosciuta.
La forza e l’energia della avvincente “forma” letteraria e linguistica prevale sulla “sostanza” e trascinano poco nascostamente il lettore verso lidi che lasciano – non senza inquietudine - perplessi.
Fabrizio Giulimondi
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