Attenzione, spoiler alert:
Questo post è stato scritto appena dopo il fischio finale della partita. Declino ogni responsabilità se esso non rispetta la pubblica decenza.
Ci sono momenti, nella vita di una donna, in cui piangere davanti alla televisione è un rito di passaggio. Non è Titanic, non è il diario di Bridget Jones. É l’Italia che batte la Francia al Sei Nazioni. Sì, la Francia, quella che meritava di vincere contro gli All Blacks alla finale della Coppa del Mondo di rugby 2011. La stessa Francia che si è mangiata Australia, Argentina e Samoa nei test match di novembre. La stessa Francia che domenica si è inchinata ai nostri Azzurri, vittoriosi all’Olimpico per 23 a 18.É il mio primo Sei Nazioni da immigrata in Inghilterra, per me è tutto nuovo: niente stadio, niente Roma, niente amici con cui soffrire per ottanta minuti. Alla meglio mi sarei accontentata di un pub, di un manipolo di inglesi pronti a guardarmi dall’alto in basso e di una BBC dal commento “fazioso”, perché siamo italiani e quindi non capiamo niente di rugby.
E invece.
E invece abbiamo messo il muto durante la Marsigliese, perché se è vero che il rugby è uno sport di valori, e io sono sempre stata un tipo sportivo e dall’esemplare fair play, per una volta il televisore andava messo muto. Scusate, amici francesi.
L’Italia è partita forte, fortissima. E al solito si pensava: «Eh, ora tocca soffrire nel secondo tempo, perché i nostri cedono, come da copione.» e invece no.
Non avevo mai visto un’Italia così. La Francia è rimasta a guardare, ha provato a fare qualcosa, ma Brunel ci aveva avvertito: «Dobbiamo imporre il nostro gioco, non subire quello avversario» aveva detto un po’ di tempo fa. Ed ecco che il pirenaico ha tirato fuori dal basco un’Italia prepotente e determinata, capace di sciogliere ogni nodo psicologico che l’ha sempre fregata, in un modo o nell’altro.
E se il (grande) merito di Jacques Brunel è di aver fatto fare all’Italia quel salto di qualità a cui in molti ormai non credevano più, il merito sul campo va a quei 23 giovanotti con le spalle larghe e i femorali ipertrofici che hanno pestato l’erba dell’Olimpico. Nelle mete di Parisse e Castrogiovanni c’è tutta la squadra, dai placcaggi di Favaro e Minto alla nostra mischia regale, passando per i trequarti che osano e giocano. E sembrano divertirsi, come forse non si era visto mai.
E poi ci sono i 78 kg di Luciano Orquera, il Man of The Match, che con le ultime prestazioni in azzurro ha dato un paio di schiaffoni sonori a tutti i suoi detrattori. Ora, non so se Lucianino ha bevuto una pozione segreta oppure se il coach gli ha lasciato campo libero per fare quello che vuole, e lui ha iniziato davvero a fare quello che voleva, inventando cose e leggendo linee di corsa che manco Conrad Smith, a momenti.
Però l’importante è che giochi sempre così. Se qualcuno in lettura lo incontra, per favore, gli dia un bacetto da parte mia.
I commentatori della BBC hanno mostrato grande rispetto nei confronti dei nostri*. Finalmente, anche gli inglesi ci prendono sul serio, e vi pare poco. Non vedo l’ora di vedere le facce dei miei colleghi francesi, che tanto mi perculavano sabato sera.
Mia sorella ha guardato il secondo tempo con il commento francese, e ha detto che anche loro hanno ammesso la nostra bravura, con grande sportività. E quasi quasi mi pento di aver messo il muto alla tv durante il loro inno.
Anche Sir Wilkinson ci ha detto bravi. Anche lui, il più grande di tutti i numeri 10.
Tutti si sperticano in grandi complimenti per l’Italia del rugby, ora. Che bello.
Sembra uno slogan elettorale, ma è vero: è tempo di dire basta per sempre alle sconfitte onorevoli. Siamo diventati grandi e maggiorenni. É come se ora avessimo preso la patente sapendo che non si deve bere, se si deve guidare.
É arrivato il tempo della consapevolezza, per l’Italia del rugby.
Ed era anche ora. Avanti così, ragazzi.
Photo credit Andrea Masi
*Inutile dire che quelli della BBC erano un gradino sotto Sky Italia, e quindi sentivamo Munari parlare e urlare come una taccola! Vittorio, meno male che esisti.