“In un attimo mi rendo conto di quante cose sono cambiate nella mia vita: mio padre che non c’è più, il dolore di mia madre, il caos nella vita delle mie sorelle Valeria e Fabiola, Alessia che se ne è andata dicendo solo ‘‘Mi dispiace…’’, Ann che è partita così, senza dirmi nulla.”
Lui, lei, l’altra. Lui e lei di Roma, l’altra di Philadelphia. La prima l’ha lasciato ma lui non l’ha dimenticata. Nel frattempo è arrivata a Roma una bellissima ragazza americana che però intuisce il legame tra lui e lei e riparte senza dirgli una parola. Così lui e il migliore amico, che se la faceva con l’amica dell’americana, decidono di fare un viaggio a New York e di cercare le due ragazze. Un indirizzo errato farà fare loro bizzarri incontri ma, come prevedibile, riusciranno a trovare la ragazza del protagonista e lo sdolcinato lieto fine sarà inevitabile.
Dopo “Quell’attimo di felicità” Federico Moccia torna con le vicende di Nicco nel suo ultimo libro “Sei tu” (Mondadori, febbraio 2014), una nuova storia d’amore che, come tanti lettori speravano, prosegue negli Stati Uniti d’America.
A differenza dei precedenti libri di Moccia questo si rivela, almeno per quanto riguarda la prima parte, piuttosto triste e lento e solamente dalla metà in poi la vicenda si vivacizza e i protagonisti, Nicco e Ciccio, danno il meglio di loro stessi.
A parte questo la solfa è la solita, il risultato di ogni libro di Moccia è sempre lo stesso: due persone s’incontrano, credono di amarsi, poi ci ripensano e comincia la crisi ed infine, se il destino lo vorrà, tornano insieme.
Si tratta insomma di uno dei soliti romanzi dello scrittore romano rivolto a chi solitamente non legge, a chi non si pone determinati interrogativi nella vita, a chi si accontenta della storiella d’amore camuffata da sporadici eventi che sembrerebbero rendere più profonda la storia, come la morte del padre del protagonista in questo caso, a chi certamente non importa la correttezza della grammatica adoperata.
Un romanzo che mostra il classico italiano senza troppe esigenze che parla a stento l’italiano, l’inglese ancora meno, che si porta dietro un bagaglio culturale composto da una serie di luoghi comuni, o forse sarebbe meglio definirli pregiudizi, che comprendono zingari, indiani d’America che secondo il protagonista dovrebbero vivere ancora nei tepee, coppie gay che lavorano nel campo della moda, bikers pseudo – terroristi.
Senza tralasciare l’utilizzo della parola “razza”, riferito a diverse etnie, termine senz’altro più consono all’ambito della zoologia, da parte del protagonista.
Ma naturalmente la morale della favola è che neppure la differenza di lingua può essere d’ostacolo all’amore, quindi tutto sarebbe plausibile.
Se l’intento dell’autore, che ancora una volta ha voluto mostrarsi come un profondo conoscitore dell’animo umano, era quello di portare il maggior numero di lettori all’identificazione nei protagonisti di questa storia, ci si augura che questo non sia accaduto.
Written by Rebecca Mais