Sono molto deluso dall’atteggiamento di chiusura che hanno dimostrato alcuni gruppi politici, parlamentari e extra parlamentari. In particolare l’atteggiamento di Sinistra Ecologia e Libertà che con un comunicato non è riuscita a far altro che opporsi duramente alla manovra, senza riconoscere nulla allo sforzo dialettico messo in atto in 15 giorni da questo governo e – soprattutto – senza avanzare delle proposte concrete (addirittura annunciandole da lì a venire, come se in tutto questo tempo Assemblea, presidenza, segreteria e comitato scientifico – tutti organismi per entrare nei quali i componenti si sono sfiniti di trattative – avessero avuto altri problemi più urgenti da affrontare).
E’ un’opposizione durissima, che sarebbe anche giustificata, se non fosse sostenuta da mera demagogia e se non facesse presentire che è funzionale solo a un riposizionamento strategico in vista delle elezioni.
Bossi, Di Pietro, Ferrero e SEL (ma per fortuna non Vendola, che in questi giorni sta virando verso un atteggiamento di maggior dialogo verso le altre forze politiche), si trovano d’accordo sulla linea della protesta, ma la loro proposta è priva di un contenuto veramente politico: certo, chiedono la riduzione degli armamenti, l’estensione dell’ICI alla chiesa, la tassazione di capitali scudati, e altri provvedimenti che singolarmente presi ci sembrano giustissimi e indifferibili. Ma risulta evidente che non sono inserite in un programma chiaro: sono proposte non strutturate, non integrate in un’analisi che tenga conto della complessità del sistema politico, economico e finanziario. Eppure ricordo che proprio il leader di SEL a Firenze a settembre ci raccontò che la politica è la gestione della complessità. Ma la sua classe dirigente non lo sta nemmeno a sentire? La complessità non è l’alibi per fare o non fare delle scelte, ma è una condizione con la quale misurarsi, soprattutto se vuoi governare. E sempre l’analisi scientifica, la ricerca, lo studio integrato dei fenomeni aiuterebbero a rispondere nella maniera più opportuna alle richieste di buon governo. SEL invece ha presentato un volantino con degli slogan o poco più. Qualche giorno dopo un documento più dettagliato, è vero, ma che non teneva ancora conto della “complessità” delle decisioni. Ad esempio chiedeva l’introduzione di una patrimoniale, ma non teneva conto degli effetti che quella tassa può avere sulla fuga dei capitali, nè sull’evasione (considerazioni che sono state già approfondite in altre sedi, vedi ad esempio da Pietro Modiano, presidente di Nomisma). E’ solo un esempio: analisi superficiali o non integrate sono state portate avanti su altri punti.
Credo che in questi anni terribili uno degli effetti culturali più dirompenti del “berlusconismo” sia stata l’eccessiva semplificazione delle risposte politiche. La demagogia l’abbiamo elevata a sistema, sottraendo il consenso al necessario approfondimento dei problemi. Deve essere stato senza dubbio anche un effetto della presenza preponderante della televisione come strumento del dibattito politico. La televisione impone tempi rapidi, ti fa vedere un’immagine e immediatamente dopo un’altra, senza darti la possibilità di riflettere sull’immagine appena trascorsa. Questo ha decretato il successo della politica dei trenta secondi, basata su slogan e trovate ad effetto. Una politica che si è retta sull’emozione, piuttosto che sulla riflessione. E naturalmente ha privilegiato chi ha saputo lavorare sul colpo di teatro, chi ha avuto l’ultima parola. Ha premiato, solo per fare un esempio, chi ha chiuso la campagna elettorale televisiva dicendo “Vi toglieremo l’ICI. Avete capito bene: vi toglieremo l’ICI”.
Per valutare il governo Monti e le sue misure, e anche per fare noi stessi delle proposte alternative, soprattutto laddove l’orientamento “politico” risulta essere decisivo, dobbiamo fare lo sforzo di studiare le relazioni tra fenomeni, dotarci di competenze e di strumenti scientifici per effettuare le analisi (che sono sempre necessarie).
Mi sembra evidente che forse con gli slogan si acquistano posizioni, seggi, ma non si governa un Paese.
Siamo vissuti 17 anni con gli slogan di Berlusconi e di Bossi, di Di Pietro e di Casini e l’unico effetto è stato quello di un Paese senza un governo, un Paese senza politica.
Io credo che dobbiamo prepararci a governare. Quello di Monti è un governo provvisorio che ha un obiettivo solo: deve condurci fuori dal rischio di default. Tra i suoi scopi non ha l’equità, non la coesione sociale, non l’ecologia, non il rafforzamento dei diritti. Deve ridurre il debito e il “come” non lo sceglieremo noi, purtroppo.
Quando questo governo finirà noi dovremo essere pronti e non ci basterà una locandina piena di refusi, di analisi superficiali e di “semplificazioni” elettorali. Nello stesso tempo è nostro dovere continuare a chiedere il rispetto dei diritti fin qui conquistati (se non l’acquisizione di nuovi diritti). Il punto a questo punto è “come” chiederlo: con la protesta o con la proposta di un’alternativa credibile?
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